Wang Xiangzhai

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Wang Xiangzhai è un famoso praticante di arti marziali cinesi che ha fondato un metodo chiamato Yiquan.

L’enciclopedia di Baidu riferisce che Wang Xiangzhai 王芗斋 (1885-1963), zi Yuseng 宇僧, chiamato Zhenghe (政和) , ma anche conosciuto come Nibao 尼宝, nella vecchiaia venne soprannominato Maodun Laoren 矛盾老人, cioè “vecchio bastian contrario”.

La Vita

Wang Xiangzhai è nato nel 1885 nel villaggio Weijialincun 魏家林村, nell’area amministrativa di Shenxian 深县, nella provincia di Hebei. Nel 1894, a nove anni, entra nella scuola di Xingyiquan di Guo Yunshen 郭云深. Nel 1907 si trasferisce a Pechino e viene assunto dall’esercito. Nel 1913 inizia ad insegnare arti marziali. Nel 1918 lascia tutti i suoi impegni ed intraprende un viaggio attraverso la Cina. Visita il Tempio Shaolin ed in particolare riceve gli insegnamenti nello Xinyiquan 心意拳 da parte del bonzo Henglin 恒林. Dopo aver trascorso un lungo periodo di tempo con questo monaco, Wang riprese il suo viaggio recandosi in Hubei, Hunan e Fujian. Durante il tragitto frequenta e si confronta con numerosi maestri dei differenti stili. Nel 1923 , in Fujian, conosce Fan Yongcang 方永苍 , che appartiene ad una famiglia di praticanti di Zonghequan 纵鹤拳, un ramo dell’ Hequan. Più tardi , nuovamente in Hunan, nella città di Henyang si incontra con il maestro Xie Tiefu 解铁夫, praticante anch’egli di Xinyiquan 心意拳, che Wang trovò superiore sia nel combattimento a mani nude che in quello con le armi. Questo incontro sarà fondamentale, infatti Wang Xiangzhai scrive: “Dopo il Signor Guo Yunshen, io fui ancora profondamente influenzato dal maestro Xie Tiefu”. Nel 1925 incontra Huang Muqiao 黄慕樵 da cui apprese la Danza per la Salute 健舞, Jianwu. Nel corso dello stesso anno ritorna a Pechino. Nel 1926 inizia a sviluppare la sua scuola che chiama Yiquan 意拳. Trasferitosi a Tianjin si lega in amicizia a Zhang Zhaodong, che gli presenta numerosi allievi quali Zhao Enqing , Zhang Entong 張恩桐 e Zhao Fengyao. Nel 1928 è a Shanghai dove diventa amico di Wu Yili 吴翼翬, un insegnante di Xinyi Liuhe Bafaquan 心意六合八法拳, e dove fonda la Yiquanshe 意拳社, associazione di Yiquan, che è frequentata da molti personaggi quali Gao Chendong 高掁東, Bu Enfu 卜恩富, ecc. Nel 1935, Wang Xiangzhai assieme a Han Xingqiao 韓星橋, Zhang Entong e Bu Enfu, ritorna a Shenxian, mentre Han Xingyuan 韓星垣 continua ad occuparsi della scuola di Shanghai. Nel 1937 Wang è nuovamente a Pechino dove insegna Yiquan . Sempre nello stesso anno viene sfidato da un celebre maestro locale, Hong Xuru, che Wang sconfisse clamorosamente ottenendo che gli allievi di quest’ultimo passassero nella quasi totalità sotto il suo insegnamento. In questo periodo Wang differenziò l’insegnamento in due corsi uno dedicato al combattimento, l’altro alla salute (Yangsheng). Nel 1939 nei quotidiani Shibao 實報 e Xinminbao 新民報, Wang Xiangzhai invita i praticanti di tutte le arti marziali a venire ad incontrarlo per scambiare i loro punti di vista e per scoprire l’Yiquan. In questi anni viene forgiato il nome Dachengquan 大成拳 ad opera di due ammiratori del maestro Wang: Qi Zhenlin e Zhang Yuheng 张玉衡. Nel 1941 Wang assegna dei nuovi nomi ai propri allievi che ritiene siano pervenuti alla vera arte del combattimento: Han Jiao; Bu Enfu; Zhang Entong; Zhao Fengyao; Zhao Enqing ed Yao Zongxun. Partendo dal testo “Il giusto principio dell’Yiquan”, Wang ha redatto il Quandao Zhongshu 拳道中枢 (il perno centrale della via del pugilato), l’opera che espone l’essenza della sua dottrina. Nel 1949 , probabilmente sotto la spinta del nuovo corso politico, abbandona l’insegnamento marziale ed approfondisce gli aspetti salutistici e terapeutici della propria arte. Nel 1963 muore nella città di Tianjin.

Scritti

Tra i principali scritti di Wang Xiangzhai si ricordano:

Allievi

Questo è un elenco parziale dei suoi allievi: Zhou Ziyan 周子炎; Gao Zhendong 高振东; Zhao Daoxin 赵道新; Zhang Entong 张恩桐; Han Xingqiao 韩星樵; Zhang Changxin 张长信; Bu Enfu 卜恩富; Han Xingyuan 韩星垣; Hong Lianshun 洪连顺; Yao Zongxun 姚宗勋; Dou Shiming 窦世明; Li Yongzong 李永宗; Zhao Fengyao 赵逢尧; ecc.

Bibliografia

  • Duan Ping段平, Zheng Shouzhi郑守志 e altri, Wushu Cidian武术词典 Wushu Dictionary, Renmin Tiyu Chubanshe,2007, ISNB 978-7-5009-3001-3

  • Wu Bin, Li Xingdong e Yu Gongbao, Essentials of Chinese Wushu, Foreign languages press, Beijing, 1992, ISBN 7-119-01477-3

  • Carmona José, De Shaolin à Wudang, les arts martiaux chinois, Gui Trenadiel editeur . ISBN 2-844445-085-7
  • https://baike.baidu.com/item/%E7%8E%8B%E8%8A%97%E6%96%8B/297908

Cielo Terra Uomo

Da François Cheng, PERSPECTIVES COMPARATISTES : REPRÉSENTATIONS COSMOLOGIQUES ET PRATIQUES SIGNIFIANTES DANS LA TRADITION CHINOISE

Tradotto da Storti Enrico

1.PROSPETTIVE COMPARATIVE: RAPPRESENTAZIONI COSMOLOGICHE E PRATICHE DI COSTITUZIONE DI SIGNIFICATO NELLA TRADIZIONE CINESE – introduzione

2. Vuoto e Pieno

3. Yin Yang

4. Uomo-Terra-Cielo

Nota del traduttore: questo paragrafo prende il titolo da una triade famosa che solitamente e’ resa al contrario di cio’ che fa Francois Cheng .

Le coppie Vuoto-Pieno e Yin-Yang che costituiscono gli assi fondamentali della cosmologia cinese hanno agito da “strutturatori” nel doppio linguaggio poetico-pittorico dei cinesi. Grazie a loro, questo linguaggio formale è dotato di significato dai suoi livelli di base (lessicale e sintattico). Dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione ad un livello superiore, quello che può essere definito simbolico, poiché è a questo livello che il linguaggio costituito raggiunge il suo pieno significato, che è quello di manifestare il dramma dell’uomo, contemporaneamente alla relazione che mantiene con l’universo: ciò che implica la triade costituita da Uomo, Terra e Cielo (che, naturalmente, è già sottostante agli altri livelli).

La fede nel rapporto organico, e quindi in un sistema di corrispondenze, tra i sentimenti umani e gli elementi dell’universo ha favorito il processo di simbolizzazione, in particolare per quanto riguarda le due pratiche che ci interessano. E la scrittura ideografica, che di per sé è una vasta rete metaforometonimica, ha contribuito potentemente a questo. Ispirati da questo, poeti e pittori cercano di esprimere, attraverso immagini di cose esterne, sia i loro sentimenti concreti che concetti astratti. È vero che questo fatto si riscontra anche nella poesia e nell’arte di altre culture, ma in Cina assume un’estensione particolare. Tutta la Natura, per così dire, è inventariata, categorizzata, e tutto ciò che la compone è dotato di contenuto simbolico.

In questo contesto di simbolizzazione generalizzata, le immagini utilizzate da poeti e pittori non si presentano come semplici termini di paragone; sono presenze reali che incarnano i desideri dell’uomo. Ogni poesia, come ogni quadro, deve dunque realizzare quell’unione tra Uomo e Natura che la retorica cinese designa con l’espressione qing-jing “sentimento-paesaggio”. In questo binomio, il primo termine qing si riferisce al mondo interiore dell’Uomo; in senso stretto significa sentimento umano, ma in senso lato copre anche altri aspetti psichici dell’Uomo. Per quanto riguarda il secondo termine jing, comprende il mondo esterno nel suo insieme.

Ciò che va sottolineato è l’organicità del binomio; nella prospettiva cinese i due termini sono sempre uniti, formando le due facce di una stessa figura. Non si cerca lo stato ideale dove c’è “il sentimento nel paesaggio e il paesaggio nel sentimento” (9)? Ciò a cui mira dunque la poesia cinese non è tanto il soggetto e l’oggetto presi isolatamente, né il loro semplice accostamento, ma qualcos’altro, nato dalle loro reciproche relazioni di divenire.

È qui che dobbiamo insistere su un altro tratto che segna questo livello simbolico e che la nozione di triade implica. Abbiamo detto che l’Uomo, pur essendo un’entità in sé, è inseparabile dalle altre due entità che sono la Terra e il Cielo. Se è vero che l’Uomo mantiene rapporti più privilegiati con la Terra, questi rapporti diventerebbero ben presto sterili e inefficaci, se non ostili, senza la presenza regolatrice del Cielo. Il pensiero cinese, che è ternario, non considera le relazioni solo a coppie; secondo lei, due entità faccia a faccia si troverebbero in una situazione di opposizione che le separerebbe dalle loro radici e spezzerebbe il movimento circolare. Questo movimento vitale può essere concepito solo in una relazione a tre. L’uomo non è un soggetto isolato, non più di quanto la Terra sia un puro oggetto; ha senso per loro in un Aperto che incarna il Cielo.

Quanto appena precisato si verifica nel doppio linguaggio poetico-pittorico per quanto riguarda il processo di simbolizzazione. Al di là del sentimento (Uomo) e del paesaggio (Terra), i cinesi concepiscono un significato che va oltre i significati portati dai segni (Cielo). Nella pittura, il ruolo del Cielo è mostrato “visibilmente”; la sua funzione è quella di sostituire la struttura Uomo-Terra in una prospettiva aperta che la ricolleghi al Vuoto originario (10). In poesia, il Cielo è quell’Oltre significato che il pensiero estetico cinese cerca instancabilmente.

I versi di Lì He

Precisiamo innanzitutto che all’epoca dei Tang, per sottolineare lo stato di eccellenza raggiunto dalle opere dei grandi poeti, i critici letterari usarono testualmente la parola “Cielo”. La poesia di Li Bo è descritta come “suoni che sorgono dal Cielo”; quella di Du Fu, di “spada affilata nel Cielo”; e quella di Li He 李贺 con uno dei suoi stessi versi: “Il cielo, dotato di sentimento, invecchierebbe improvvisamente sentendo questo canto!” 天若有情天亦老. Il cielo, qui, non è un riferimento vago: è veramente il criterio supremo.

Questo Al di là del significato, è chiaro che fin dalle Sei Dinastie (III-VI secolo, periodo del risveglio del pensiero estetico in Cina), i più importanti critici letterari hanno cercato di formulare l’idea:

I Respiri (Soffi) animano gli esseri e le cose; questi a loro volta muovono l’uomo. Sotto la pressione degli impulsi e dei sentimenti che lo abitano, l’uomo si esprime poi attraverso la danza e il canto. Il suo canto è una luce che illumina i Tre Geni (Uomo-Terra-Cielo) così come le Diecimila Creature. Costituisce così un’offerta agli spiriti, e quindi manifesta il Mistero nascosto. Per sconvolgere Cielo e Terra, per commuovere le Divinità, nulla eguaglia la poesia (Shi-pin xu di ZhongHong, delle Sei Dinastie). *

“c’è xing, quando il testo completato è esteso da un al di là di significato “(idem):

– (Lo scopo supremo della poesia è raggiungere} ‘l’Immagine al di là delle immagini, il Paesaggio al di là dei paesaggi’ o ‘la Risonanza al di là dei suoni, il Sapore al di là dei sapori’, così che ‘senza nemmeno mettere una parola, e tutto il fascino del mistero è lì’ (yu jipu shu, yu Li sheng lun shi shu e Shi-pin di Sikong Tu des Tang) >.

Tra i grandi poeti del Tang, il primato è dato allo spirito dello xing. Come le corna delle antilopi che si nascondono tra i rami degli alberi, i loro versi non offrono sbocco all’analisi. Sono di una tale brillantezza e di una tale trasparenza che non si possono mai definire. Suono che vibra nell’aria, colore dato da un miraggio, luna specchiata nell’acqua, figura riflessa da uno specchio, tale appare la loro poesia dove le parole sono limitate, ma il cui significato si estende all’infinito > (Cang-lang shi-hua Je Yan Yu, dei Song).

Oltre la poesia, il paesaggio è l’intermediario, il sentimento è la matrice Una poesia nasce dall’unione dei due L’arte poetica mira a raggiungere i Diecimila Esseri da poche parole; il suo stato supremo è l’illimitato, mosso dal Soffio primordiale (Si-ming shi-hua di Xie Zhen, dei Ming).

Per chiudere questa serie di citazioni, citiamo ancora un lungo brano tratto da Yuan shi “L’origine della poesia” di Ye Xie (1627-1703). Quest’ultimo, nella sua opera, ha tentato una sorta di sintesi delle teorie poetiche cinesi. Per qualificare l’ideale della poesia, non trovò niente di meglio del termine xu ming “Nome Vuoto”: un nome che nomina il Vuoto, o un nome esteso dal Vuoto. Nel brano successivo si sforza di mostrare, non senza difficoltà, come il Significato, pur trovandosi all’interno di un verso che è una condensazione del “sentimento-paesaggio”, lo oltrepassi infinitamente. E questo significato Al di là, finisce per nominarlo shen “Essenza divina” che, come sappiamo, è l’incontro dei Tre Geni che sono l’Uomo, la Terra e il Cielo.

Osserviamo questo verso di Du Fu, tratto dal suo poema Nel Tempio dell’Imperatore Xuan yuan 冬日洛城北謁玄元皇帝廟 : <Tegole smaltate – freddo dell’alba – oltre il (o <Al di là – freddo dell’alba – Tegole smaltate> 碧瓦初寒外 ) . Secondo la spiegazione letterale, il versetto parla di uno spazio interno, in opposizione all’esterno. Ma cos’è un freddo incipiente? Possiamo dividerlo in interno e esterno? Al di là delle tegole color smeraldo, non c’è il freddo dell’alba? Siccome il freddo è un soffio che circola tra cielo e terra, c’è un angolo dell’universo che non ne è colmo, è dunque vero che solo le tegole di smeraldo risiedono oltre il freddo o che il freddo risiede solo dentro le tegole di smeraldo? ?

Inoltre, qui si tratta di un freddo “in ripresa”, sarà diverso quando si tratta di un freddo intenso? Tuttavia, il freddo dell’alba è privo di immagine e forma, e le tegole di smeraldo sono sia sostanza che non sostanza [come colore]. Dividendoli in vuoti e pieni, dentro e fuori, significa che non sappiamo più se il verso, alla fine, designi le tessere di smeraldo o il freddo nascente, il vicino o il lontano. Sì, vano è il nostro sforzo di spiegare le cose a tutti i costi secondo la legge tangibile; anche gli studiosi di ji-xia che erano soliti discutere del mistero del Cielo si sarebbero trovati impotenti.

Libro intitolato “Trasmissione autentica degli esercizi interni ed esterni del tempio Shaolin”

Tuttavia, fintanto che vogliamo metterci al centro di questo verso e lasciarci penetrare dal < sentimento-paesaggio> che portano i cinque ideogrammi, allora entriamo in questo strano stato in cui un universo, con la sua terra e i suoi cielo, si crea, si pone come immagine, risveglia lo sguardo e la fa risuonare tutta nel nostro cuore. C’è una parola, nata dallo spirito, che la bocca non può pronunciare; o ancora, quando la bocca lo pronuncia, risuona fuori dalla comprensione della mente. Eppure una parola precisa che all’improvviso visualizza ciò che l’immaginazione ha colto. Improvvisamente si sente inevitabilmente un interno e un esterno, un freddo e più precisamente un freddo incipiente che la presenza delle tessere color smeraldo fa vivere.

La cosa si rivela nella sua verità essenziale, davanti a noi e in noi, con il suo centro e le sue periferie, non statica ma costantemente realizzantesi tra il Vuoto e il Pieno, tra l’Essere e il Non-essere la poesia di Wang Wei. È bene infatti che l’eccellente poesia fornisca elementi per la pittura. Inoltre, sembra che non ci sia nulla, anche le cose più sfuggenti come il vento, la nuvola, la pioggia, la neve, che non possano essere riprodotte dalla pittura. Ma nel caso presente, per questo verso di Du Fu che suggerisce un dentro e un fuori del freddo nascente, non si vede come un pittore, sia esso Dong Yuan o Ju Ran, riesca a ricrearlo nella sua tela. Ah, la poesia non è alla portata dei mediocri; non cesserà finché non avrà toccato l’Essenza divina! »

Note

9. Nel nostro lavoro {Analisi formale dell’opera poetica di un autore della scrittura poetica Tang e cinese, prima parte, cap. III), abbiamo cercato di rendere conto del modo in cui i poeti hanno tradotto questo stato con immagini simbolizzate; per questo abbiamo utilizzato le figure metafora e metonimia, più familiari al lettore occidentale. Ma ci sono due figure ugualmente importanti nella tradizione cinese: il bi e lo xing. Nell’articolo che abbiamo loro dedicato, abbiamo mostrato che mettono in gioco l’intimo rapporto che esiste tra il soggetto e l’oggetto (il bi: soggetto -*. oggetto; lo xing: oggetto -? soggetto) . Anche qui l’essenziale non sta nella distinzione o nell’opposizione tra le due figure, poiché i cinesi, dal Song in poi, finiscono per unirle in un’unica espressione: bi-xing o xing-xiang.

10. . Vedere Vuoto e pieno, prima parte; Lo spazio del bordo, Introduzione.

PROSPETTIVE COMPARATIVE: RAPPRESENTAZIONI COSMOLOGICHE E PRATICHE DI COSTITUZIONE DI SIGNIFICATO NELLA TRADIZIONE CINESE – introduzione

Da François Cheng, PERSPECTIVES COMPARATISTES : REPRÉSENTATIONS COSMOLOGIQUES ET PRATIQUES SIGNIFIANTES DANS LA TRADITION CHINOISE

Tradotto da Storti Enrico

Essenza del pensiero cosmologico cinese

Una riflessione di tipo semiotico nel campo cinese ha due elementi in qualche modo imprescindibili come punti di appoggio: la scrittura ideografica e la concezione cosmologica. Il primo, come sappiamo, funge da sistema di base per tutte le pratiche di costituzione di significato; il secondo, un insieme di concetti strutturati che vuole essere una spiegazione totalizzante del funzionamento della creazione, fonda, agli occhi dei cinesi, la “legittimità” dei segni, assicura l’efficacia del loro funzionamento e fornisce i criteri di valore. I legami inscindibili che uniscono i due elementi costituiscono, d’altronde, un tratto singolare della semiologia cinese.

Ricordiamo a questo proposito che, nei miti arcaici della Cina, il creatore non parlava con il “verbo”; ha lasciato “tracce” da cui l’uomo ha tratto ispirazione per creare segni divinatori e linguistici. Questa origine sacra dei segni linguistici conferisce loro un potere eccezionale: sono percepiti come veri e propri medium tra lo spirito umano e lo spirito divino. D’altra parte, per la loro struttura che mette in gioco le nozioni cosmiche di qi “soffi vitali che animano tutte le cose” e di li “linee interne che attraversano tutte le cose”, per la loro natura pittorica, invariabile e autonoma, i segni si comportano in unità viventi, come tanti microcosmi attivi che rispondono al macrocosmo originario.

Libro sulla storia della cosmologia cinese

Questa specifica concezione del segno e delle sue funzioni ha ispirato una pratica poetica, e per estensione una pratica pittorica, in cui l’uomo sogna niente di meno che ripetere i gesti stessi della Creazione. Il sistema cosmologico e il sistema significante sono dunque così intrecciati che siamo portati naturalmente a ordinare l’indagine semiologica secondo l’ordine interno di questa cosmologia lungo questi assi principali che sono il Vuoto e il Pieno, lo Yin-Yang e la triade Cielo, Terra e Uomo.

L’essenza della cosmologia cinese è contenuta in germe in un’opera iniziale, il “Libro dei Mutamenti” dello Yijing, e nell’antichità cinese (al tempo delle Primavere e degli Autunni e degli Stati Combattenti), le due principali correnti di pensiero: il Confucianesimo e il Taoismo — vi hanno fatto riferimento per elaborare la loro concezione cosmologica. Inoltre, la Scuola dello Ying-Yang e la Scuola dei Cinque Elementi hanno contribuito, ciascuna a suo modo, alla creazione di un sistema che, nonostante le variazioni, ha finito per imporsi su tutti e costituisce il fondamento della tradizione cosmologica cinese.

Da parte nostra, il testo che ci sembra aver sintetizzato al meglio questa cosmologia e che ha avuto una reale influenza sul pensiero estetico cinese è senza dubbio il capitolo 42 del Dao de jing “Libro della Via e della sua virtù”:

Il Dao dell’Origine genera l’Uno,

L’Uno genera il Due,

Il Due genera il Tre,

I Tre producono i Diecimila esseri,

Gli esseri a diecimila si appoggiano su Yin,

E stringono al petto lo Yang:

L’Armonia nasce nel Vuoto del Respiro centrale

Semplificando molto: il Dao originario è concepito come il Vuoto supremo da cui emana l’Uno che non è altro che il Soffio primordiale. Questo genera i Due, incarnati dai due Soffi vitali che sono Yin e Yang, che con la loro interazione governano e animano i Diecimila Esseri. Tuttavia, tra i Due e i Diecimila Esseri si colloca il Tre, il che dà luogo a due interpretazioni non divergenti ma complementari.

.libro di uno studioso giapponese sulle antiche teorie cosmologiche cinesi

Secondo il punto di vista taoista, i Tre rappresenterebbero la combinazione dei soffi vitali Yin e Yang e dello zhong qi “Vuoto centrale”. Questo Vuoto mediano, che procede dal Vuoto supremo dal quale trae tutta la sua potenza, è necessario al funzionamento armonioso della coppia Yin-Yang: è questo che attrae e coinvolge i due Soffi vitali nel processo del reciproco divenire; senza di esso, Yin e Yang rimarrebbero sostanze amorfe.

Infine, è questa relazione ternaria che fa nascere e funge da modello per i Diecimila Esseri. Perché il Vuoto centrale che risiede nella coppia Yin-Yang risiede anche nel cuore di tutte le cose; inspirandovi Respiri e Vita, mantiene tutte le cose in relazione al Vuoto Supremo, consentendo loro così l’accesso al divenire, alla trasformazione e all’unità (1).

Il pensiero cinese si trova così dominato da un doppio movimento incrociato che può essere rappresentato da due assi: un asse verticale che simboleggia il movimento di va e vieni tra il Vuoto e il Pieno; e un asse orizzontale, er di interazione nella Pienezza di questi due poli complementari che sono Yin e Yang e da cui procedono tutte le cose (compreso l’Uomo, microcosmo per eccellenza che le riassume tutte).

È proprio il ruolo dell’Uomo che caratterizza la seconda interpretazione del numero Tre. Secondo quest’altro punto di vista, di tendenza piuttosto confuciana, il Tre, derivato dal Due (Yin-Yang), rappresenterebbe contemporaneamente il Cielo (Yang), la Terra (Yin) e l’Uomo (che possiede in spirito le virtù del Cielo e della Terra e nel suo cuore il Vuoto). Questa volta, dunque, è il rapporto privilegiato tra queste Tre Entità che serve da modello per i Diecimila Esseri (2).

L’uomo vi è elevato ad una dignità eccezionale, poiché partecipa per terzo all’opera della Creazione. Il suo ruolo non è affatto passivo: se Cielo e Terra sono dotati di intenzione, di volontà, l’Uomo, attraverso il suo Spirito (xin), i suoi sentimenti (qing) e i suoi Desideri (iyi e yu), contribuisce al processo del divenire che mai cessa di tendere verso l’Essenza divina (shen) di cui il Supremo Vuoto è come il garante, o il depositario.

Vuoto-Pieno, Yin-Yang e Cielo-Terra-Uomo costituiscono dunque i tre assi gerarchici attorno ai quali si organizza la cosmologia cinese. È in quest’ordine che andremo a vedere come, sulla base di esse, si è costruito il doppio linguaggio poetico-pittorico dei cinesi.

2. Vuoto e Pieno

3. Yin Yang

4. Uomo-Terra-Cielo

Note

1. Su questa interpretazione dei Tre nella tradizione taoista, oltre alle spiegazioni di Huai nan zi e di Wang Bi che vanno tutte in questa direzione, citiamo i tre commenti tratti rispettivamente dal Dao-de-lun shu-gao di Sima Guang dei Song, dal Dao-de-jing gu-ben ji-zhu di Fan Yingyuan dei Song e dal Lao-zi ben-yi di Wei Yuan dei Qing.

2. Le Tre Entità sono designate in cinese con il termine Sancai Questo compare per la prima volta nello Xi ci dello Yijing. L’idea sarà ripresa, implicitamente o esplicitamente, nel Da xue, nello Xun zi, e da Dong Zhongshu, Liu Xin, Zheng Xuan ecc.

Yin-Yang 阴阳

Da François Cheng, PERSPECTIVES COMPARATISTES : REPRÉSENTATIONS COSMOLOGIQUES ET PRATIQUES SIGNIFIANTES DANS LA TRADITION CHINOISE

Tradotto da Storti Enrico

Calligrafia di Li Jianjun 李建军 che riproduce la scritta Andare al luogo dove l’acqua ha la sua sorgente; e aspetta, seduto, che le nuvole si alzino

1.PROSPETTIVE COMPARATIVE: RAPPRESENTAZIONI COSMOLOGICHE E PRATICHE DI COSTITUZIONE DI SIGNIFICATO NELLA TRADIZIONE CINESE – introduzione

2. Vuoto e Pieno

3. Yin Yang

Nell’ordine del Pieno, la coppia Yin (l’ombra/il femminile) -Yang (la luce/il maschile) genera una struttura originaria all’interno della quale, ricordiamolo, agisce sempre attivamente il Vuoto. Questa struttura è tradotta, in linguaggio poetico, soprattutto dal parallelismo, e in linguaggio pittorico, dall’accostamento di due figure complementari: la Montagna e l’Acqua.

Il parallelismo ha sempre occupato un posto importante in varie forme letterarie cinesi; e la principale forma poetica nata sotto i Tang (VII-IX secolo), i lushi, è da concepirsi come una dialettica di parallelismo e non parallelismo (7). Sottolineiamo solo che, per la dimensione spaziale che ha introdotto nel linguaggio lineare, il parallelismo ha fatto scoppiare quest’ultimo e ha permesso lo sconvolgimento delle normali sintassi. Le invenzioni sintattiche dei poeti Tang, di una grande varietà, hanno singolarmente arricchito il linguaggio ordinario e molte strutture grammaticali, create nella poesia dei Tang, rimangono ancora oggi in uso (8). *

王维 Wang Wei

Inoltre, il parallelismo illustra bene l’affermazione che anche la forma è significativa. In una traduzione, il parallelismo non può essere reso da una parafrasi, perché il posto di ogni parola è definito all’interno di un verso e tra i versi. Ecco un esempio tratto da un lù-shi di Wang Wei che ha come tema l’escursione mistica del poeta nella natura:

• 行 xing 到 dao 水 shui 穷 qiong 处 chu
Camminare raggiungere acqua esaurisce luogo
• 坐 zuo 看 kan 云 yun 起 qi 时 shi
Sedersi guardare nuvola alzarsi momento

Abbiamo tradotto questo distico come segue:

“Andare al luogo dove l’acqua ha la sua sorgente; e aspetta, seduto, che le nuvole si alzino” (Chinese Poetic Writing, p. 169).

Tuttavia, questa traduzione ha toccato solo l’aspetto lineare e temporale. Se ci riferiamo alla traduzione parola per parola e leggiamo i due versetti contemporaneamente, vedremo che le parole poste in parallelo, dalla loro combinazione in coppia, generano ogni volta un significato nascosto. Così “camminare-seduto” significa movimento e riposo; “raggiungere-guardare” significa azione e contemplazione; “acqua-nuvola” significa trasformazione universale; “esaurire-alzare” significa morte e rinascita; “luogo-momento” significa spazio e tempo. Ricchi di questa serie di significati, i due versi rappresentano infatti le due dimensioni (e le due modalità) di tutta la vita. Piuttosto che attenersi esclusivamente all’uno o all’altro, non è il vero stile di vita suggerito dai due versi per accedere al Vuoto che sta tra i due e che solo permette all’uomo di non separare azione e contemplazione, né spazio e tempo, e partecipare, dall’interno, alla trasformazione universale?

Quanto allo spirito dello Yin-Yang in pittura, esso si manifesta, come abbiamo detto, nelle due figure principali, la Montagna e l’Acqua. Questi, la cui realizzazione coinvolge altre coppie ugualmente ispirate allo Yin-Yang (Pennello-Inchiostro, Ombra-Luce, Apertura-Chiusura, Ascesa-Discesa ecc.) incarnano, attraverso la loro interazione, le leggi dinamiche della Natura. Come i due poli di un campo significativo, fungono anche da modelli per gli altri elementi della Natura, trasformandoli in figure viventi che si oppongono o si completano (albero-roccia, uomo-luna, padiglione-lago, padiglione-fiore ecc.) . L’insieme delle figure forma così una rete strutturata attraverso la quale la Natura appare come un corpo vivente governato dai qi “soffi vitali” e dalle li “linee interne”. Questa concezione vitalistica della pittura permette al pittore di trascendere l’illusionismo realistico e di organizzare mentalmente lo spazio pittorico, secondo le esigenze della mente.

4. Uomo-Terra-Cielo

Note

7. Le molteplici implicazioni del parallelismo sono state da noi studiate nell’Analisi formale dell’opera poetica di un autore del Tang e nella Scrittura poetica cinese (Parte Prima, Capitolo II).

8. Su questo argomento si veda Hanyu shigao, vol. II, di Wang LL

Riassunto del libro di Catherine Despeux : T’ai-Ki K’iuan, technique de longue vie, technique de combat

Traduzione Storti Enrico

Autore P. Huard
Bulletin de l’École française d’Extrême-Orient Année 1977 64 pp. 328-330

Il titolo del libro in Italiano è “Taijiquan, tecnica di lunga vita, tecnica di combattimento”. Il libro e’ stato pubblicato dal Collège de France. Institut des Hautes Études chinoises. P.U.F. Paris 1975.

La civiltà cinese ha sempre cercato di trovare un equilibrio tra virtù civili (wen) e militari (won – wu 武). Ma queste ultime sono state poco studiate. Questo libro è dedicato a una delle arti marziali (won chou – Wushu 武术). Si tratta di una tecnica di combattimento a mani nude, destinata non ad attaccare ma a difendersi e a stabilire la grande pace (Vai ping – Taiping 太平) nell’Impero. La sua antichissima origine è legata ad antiche leggende taoiste. Si è particolarmente sviluppato in due diversi centri: il monte Wu-tang (Wudang), nella provincia di Hou-pei (Hubei) e il tempio Chao-lin (Shaolin) nella provincia di Ho-nan (Henan); quindi in due scuole, una esoterica (nei-kia k’iuan – neijiaquan ) e l’altra exoterica (wai-kia k’iuan – waijiaquan). Nel primo, c’è un lavoro interiore (mi kong – neigong), eseguito nella situazione seduta a terra e nell’immobilità. Utilizza tecniche di respirazione che mirano a modificare le condizioni di espirazione e inspirazione. Nella seconda scuola si tratta invece di un lavoro esterno (wai kong – waigong) destinato ad agire, in mobilità, sullo sforzo muscolare. In realtà la distinzione è meno netta di quanto sembri e le due scuole si scambiano parte degli esercizi, almeno attualmente.

Dopo un breve cenno storico che ricorda l’influenza del chirurgo Houa T’o (Hua Tuo, periodo Han) e del patriarca Bodhidharma nell’elaborazione negli esercizi dei monaci guerrieri di Chao-lin (Shaolin) e quella del santo taoista Tchang Son-fong (Zhang Sanfeng) negli esercizi del Monte Wou-tang, l’autore ammette che dopo aver eliminato tutti i fatti leggendari, non si può risalire a fatti storicamente provati prima della metà del XIX secolo. Riporta i nomi dei maestri delle arti marziali del XIX e XX secolo e della scuola Wou (Wu) creata da Wou Ken-ts’iuan (Wu Jianquan, 1870-1942). Indica poi la situazione delle tecniche di combattimento nella Cina continentale, a Formosa e tra i cinesi espatriati.

Wu Jianquan

Un secondo capitolo mostra le basi cosmologiche del Taijiquan in relazione ai due principi e ai cinque elementi del Cosmo e in relazione al corpo umano. Sono le stesse basi teoriche di quelle della medicina cinese.

Quindi mostra che il Taijiquan è sia una tecnica di lunga vita (cap. IX) sia una tecnica di combattimento.

Immagine presa da un manuale di epoca Qing dal titolo “Dianxue Zhenchuan”

Il capitolo successivo (V) espone le regole del Taijiquan secondo le diverse scuole contemporanee (scuola Ch’en – Chen, scuola Yang), con l’ausilio di numerose figure, precise e chiare.

Un ruolo abbastanza importante è dato ai punti vulnerabili (tien hiue – Dianxue) che sono spesso punti usati in agopuntura ma conosciuti con un nome diverso dagli specialisti delle arti marziali. Esistono quattro categorie di vulnerabilità:

  • a) quelli che causano sincope (9);
  • b) quelli che causano mutismo (9);
  • c) quelli che causano la paralisi (9);
  • d) coloro che sono immediatamente mortali (9).

Infine vi sono dodici punti che corrispondono al passaggio del respiro da un vaso (o meridiano) all’altro. Devi attaccarli quando l’energia è al massimo.

Possiamo quindi vedere che si tratta di tecniche ancora incompletamente desacralizzate e che portano ancora l’impronta dei buddisti e dei taoisti che ne sono all’origine. Ad esempio, il seguace del Taijiquan vede se stesso come l’anello di congiunzione tra il Cielo (la cui energia viene trasmessa alla sua testa) e la Terra (la cui energia viene trasmessa ai suoi piedi). Si lascia impregnare dalle forze sacre dell’Universo e si fa padrone del tempo e dello spazio con la forza dei suoi gesti rituali. Contribuisce così al buon ordine del mondo. Si potrebbero fare molti altri paragoni di questo ordine evocando i movimenti che mettono in armonia l’uomo e il Cosmo. Sono in numero di 108, numero ottenuto dalla somma delle 36 stelle celesti e delle 72 stelle terrestri.

Il grande merito di questo lavoro è quello di mostrare che in Cina ogni fatto materiale include spesso una spiegazione spirituale. Ogni gesto è espressione di principi ideologici e movimenti interiori. Esprime qualcosa di nascosto e incomprensibile a chi non conosce la cosmologia cinese a cui si riferisce costantemente. Inoltre, questa eccellente monografia indica in modo molto preciso come milioni di uomini abbiano una concezione diversa dalla nostra della cultura fisica. Per loro l’attività mentale prevale sul lavoro muscolare e un uso adeguato del “pensiero” permette di ottenere un’armoniosa padronanza psico-somatica del corpo e della mente.

Dai un pugno come un secchione: utilizzo della biomeccanica nella boxe

Traduzione di Storti Enrico
Da Thomas Hintz, Punch like a nerd: Utilizing Biomechanics in Boxing Form, 2021
https://sites.nd.edu/biomechanics-in-the-wild/2021/04/06/punch-like-a-nerd-utilizing-biomechanics-in-boxing-form/

Tu ed io siamo creature viventi. Ogni creatura vivente sulla Terra ha alcuni mezzi di autoconservazione, e mentre la società e la tecnologia hanno fatto progredire gli esseri umani ben oltre le norme del regno animale, nel profondo del nostro nucleo c’è l’istinto di autoconservazione noto come “lotta o fuga”. Quando arriva il momento in cui la fuga non è possibile, l’autodifesa disarmata è l’unica opzione, molto probabilmente un essere umano tirerà un pugno. A meno che tu non sia allenato in uno sport da combattimento o in uno stile di autodifesa, quel pugno sarà probabilmente inefficiente e inefficace. Sono qui per abbattere, con la biomeccanica, le credenze sbagliate sul modo più efficace per sferrare quel pugno.

Questo diagramma mostra i 4 pugni principali nel pugilato. Questo blog si concentrerà principalmente su croce, gancio e montante. Foto da neilarey.com

Perché colpiamo e come lo facciamo

Nel pugilato, quello sport che si occupa un bel po’ di pugni, ci sono tre tipi principali di pugni: diretto (jab/cross), gancio e montante. Come illustrato sopra, i tre movimenti hanno direttrici diverse percorse dal pugno e coinvolgono muscoli diversi in modi diversi.

“Aspetta un minuto, perché non lanciare un colpo di karate o un grosso schiaffo a mano aperta?” È stato condotto uno studio per rispondere a questa domanda, in cui uomini e donne non allenati hanno colpito un bersaglio con una mano aperta, un colpo di karate e un pugno chiuso. Per ciascuna delle tecniche hanno calcolato la massa effettiva, che misura l’impatto che subisce il bersaglio. I risultati hanno mostrato che mentre lo schiaffo a mano aperta e il colpo di karate avevano masse efficaci simili, il pugno chiuso aveva una massa effettiva che era più del doppio rispetto alle altre tecniche. Quindi, a meno che tu non sia una cintura nera di karate con un colpo medio di karate, atteniamoci ai pugni se necessario.

Quale pugno usare

Ora che hai deciso che il primo passo è stringere il pugno e colpire, come lo fai esattamente? Studi biomeccanici hanno dimostrato che per i pugili di basso livello la croce, che è un pugno diretto con la mano dominante, genera una forza di pugno notevolmente maggiore. Quando si osservano pugili di alto livello come gli atleti olimpici, tuttavia, tutte e tre le tecniche producono forze di pugno estremamente simili. Ciò suggerisce che per l’essere umano medio non allenato, il pugno più efficace ed efficiente da usare sarà la croce.

Anche se non è il diagramma più scientifico, questo grafico fornisce alcuni validi consigli biomeccanici su come lanciare un cross dritto efficace. Foto da The Art of Manliness.

Ma perché il diretto incrociato genera più forza nei pugili dilettanti e come possono i pugili d’élite generare forze elevate con le altre tecniche? A tutto risponde la biomeccanica.

Ogni pugno è unico nel modo in cui la forza viene generata a causa del movimento dei nostri corpi e dei muscoli utilizzati da ogni movimento. Ad esempio, i pugili di alto livello generano molta più forza di pugno dall’estensione della gamba posteriore e dall’estensione del gomito quando lanciano la croce. Questo è simile a come un lanciatore di baseball genera forza scacciando il tumulo con la gamba posteriore nel movimento di lancio. Quando lanciano ganci e montanti, i pugili d’élite tendono a utilizzare la rotazione dell’anca molto più dei pugili di livello inferiore, che si affidano al movimento delle spalle. Tutto ciò porta al fatto che mentre lanci il pugno contro un bersaglio, la maggior parte della forza viene dalla tua vita e dalle tue gambe, quindi inserire una giornata di pratica delle gambe nel tuo programma di allenamento potrebbe essere utile.

IL PUGILATO, SPORT EDUCATIVO

Traduzione di Storti Enrico

Da Alain Benet, La boxe sport éducatif , Cahiers de l’INSEP Année 1996 12-13 pp. 145-154

Mi è stato chiesto di partecipare a questo simposio per affrontare una questione importante, una domanda che si pone per tutte le pratiche sportive in generale e per gli sport da combattimento in particolare: a che età è auspicabile che un bambino inizi?

Così formulata, questa domanda non manca di richiamare la nostra attenzione su due possibilità: o il bambino decide lui stesso di praticare, oppure decidiamo noi per lui (o decidiamo noi).

Infatti, cosa può portare un bambino a scegliere la pratica degli sport da combattimento e tra questi cosa lo spinge a optare per la boxe?

Non cercheremo di rispondere in modo esaustivo ma ci interrogheremo sulla forza dei modelli, sul potere dei media, sulle rappresentazioni veicolate dalla famiglia e dall’ambiente socioculturale di appartenenza, insomma sull’autenticità delle scelte del bambino.

È indiscutibile che ogni bambino è un’individualità unica, originale, che si afferma ancor prima di essere messa al mondo. Eredita un patrimonio genetico che già determina per lui alcune particolarità, se non altro il suo sesso, la sua morfologia, e certe qualità fisiologiche che in seguito peseranno sulle sue capacità fisiche.

Altrettanto indiscutibile è che l’ambiente in cui nascerà e si svilupperà, i rapporti che manterrà con chi lo circonda, la sua educazione da parte della famiglia, del gruppo sociale e poi dell’istituzione educativa, non mancheranno di ” plasmarlo” proponendo e vietandogli determinate norme di comportamento e di condotta, in particolare un certo rapporto con il suo corpo e con il corpo degli altri. Così si esercita una regolamentazione palese o discreta dei limiti della violenza autorizzata fin dall’inizio della sua socializzazione.

Possiamo ulteriormente precisare la quota di influenze esterne, macro-sociali, illustrando la società (in senso lato) in cui si sviluppa.

Così, nascere nel mondo occidentale fortemente dotato di media imposti porta a un rapporto con la violenza, l’assunzione di rischi, l’aggressività, basato su esempi tratti dal cinema, dalla televisione, dai fumetti, dai libri per adulti, dai libri per bambini.

Perché questa ampia digressione introduttiva?

Semplicemente per chiarire che il fatto che un bambino abbia scelto di praticare i cosiddetti sport da “combattimento” può avere origini diverse. Da un lato, si osserva una tendenza “naturale” all’aggressività, una tendenza innata che tiene conto dell’uomo “programmato”, e, dall’altro, una tendenza acquisita dall’educazione e dalla socio-cultura, che tiene conto dell’uomo colto. Conosciamo il grande dibattito che può essere ingaggiato su queste nozioni. Questo approccio alle manifestazioni di aggressività è necessario per l’analisi delle nostre preoccupazioni. Si tratta di spiegare le pulsioni, i desideri e i bisogni del bambino, prima di tentare di offrire le nostre risposte preconfezionate da adulti che vogliono farsi carico di lui, o che desiderano soddisfare le nostre stesse aspettative, le nostre stesse “rappresentazioni” di l’attività o di ciò che dovrebbe portare al “piccolo uomo”. Per ciascuno di noi, ogni attività sportiva porta dei valori, cioè delle “qualità” o dei “difetti”, non determinati oggettivamente, ma stabiliti da valutazioni personali o di gruppo.

Tuttavia, possiamo tentare di evidenziare le caratteristiche oggettivamente rilevabili delle pratiche e in particolare di qui pugilati che ci interessano.

Analisi degli sport da combattimento

Contrariamente alla credenza popolare, questi non sono sport “individuali” ma “duelli”, vale a dire che è impossibile praticarli da soli o in più di due. Ogni lotta si distingue per lo sviluppo di questa dualità organizzando la sua logica di confronto.

Così, a seconda che si tratti di un confronto di colpi (le varie forme di pugilato con i pugni o con i piedi), o di un confronto di prese (le diverse forme di lotta con o senza vestiti da afferrare) si sottolinea la variazione dei parametri che condizionano il combattimento: distanza di caricamento, distanza di assalto, spazio di azione, tempo di confronto, colpi autorizzati, superfice da colpire, zone di presa.

Ogni pratica costruisce da queste fluttuazioni una propria logica interna, che si traduce in un insieme di regole che condizionano lo scopo e l’andamento degli assalti. Per vincere, per essere dichiarato e riconosciuto vincitore, devi adempiere a un contratto molto specifico per ciascuno di questi sport. L’obiettivo del lottatore è toccare terra con le due spalle dell’avversario, quello del judoka è lanciare o immobilizzare, quello dello schermidore toccare il pettorale con la punta dell’arma, quello del pugile francese colpire il corpo dell’avversario con i suoi piedi e pugni, quello del pugile inglese per colpire solo con i pugni una certa parte di questo corpo.

Specificità della boxe inglese

Si tratta quindi di un duello con determinate caratteristiche rispetto a quelle di altri sport per colpire e di altre forme di boxe. È un duello durante il quale si può colpire l’avversario solo con una certa superficie autorizzata da colpire con il guanto (la parte che copre le teste dei metacarpi), e l’uno può raggiungere l’altro solo su una superficie bersaglio ben definita (faccia anteriore del corpo sopra la cintura). E’ obbligatorio rimanere faccia a faccia (qualsiasi pugile che volta le spalle in attacco come in difesa viene immediatamente sanzionato dall’arbitro). Il combattimento si svolge in uno spazio di forma quadrata (da 5 a 6 m per lato) delimitato da tre o quattro corde tese orizzontalmente una sopra l’altra, per un tempo suddiviso in periodi di azione e riposo (le pause sono sempre di un minuto, qualunque sia la durata e il numero di volte).

Tutta la singolarità della boxe inglese è così presentata dalla semplice enumerazione di questi cinque elementi: faccia a faccia, superficie da colpire, bersaglio autorizzato, geometria dello spazio, cronologia.

Caratteristiche dello scontro

Ogni combattente è tenuto a rispettare scrupolosamente la “regola” che consegue alla considerazione di questi cinque elementi. Deve comunque obbedire a una miriade di dettagli rispettando il “regolamento” e giustificando la presenza permanente dell’arbitro.

Il pugile ha un obiettivo che può essere così riassunto: colpire l’altro nell’area bersaglio autorizzata utilizzando la superficie di colpo autorizzata, il più spesso possibile per tutta la durata del confronto, senza uscire dallo spazio delimitato. Assicura così, agli occhi dei giudici e degli spettatori, il dominio del suo avversario.

Si vede chiaramente che il problema che si pone subito risiede nel fatto che l’altro contemporaneamente ha lo stesso obiettivo, il che genera un’incertezza relativa alla presenza di queste due volontà contrarie. Si tratta quindi di gestire questa incertezza, o addirittura di porvi fine il più rapidamente possibile. È da questo doppio progetto che estrarremo due concezioni essenziali alla nozione di confronto:

  • se possiamo ridurre la durata dell’incertezza colpendo l’avversario in modo che si arrende, allora siamo in una situazione di combattimento
  • se questa soluzione è severamente vietata, allora siamo nella prospettiva dell’assalto V.

Specificità dell’Assalto

La boxe è uno sport di confronto, senza dubbio il più spoglio che ci sia, in quanto il faccia a faccia e il solo uso dei pugni come armi da combattimento in uno spazio ristretto inducono una serie di comportamenti sulla modalità riflesse. È uno sport che sfida l’emotività del soggetto, nel punto più alto, perché il “me” fisico ma anche il “me” profondo sono messi in gioco, dall’assunzione di rischi comunemente accettata e dal valore simbolico che conferisce il permesso di toccare il viso. Conosciamo tutti, infatti, la differenza che si sente tra un grosso colpo ricevuto sulla spalla e un piccolo schiaffo ricevuto sulla guancia; il danno psicologico non è proporzionale alla potenza dell’aggressività (protocollo sperimentale di facile impostazione per eventuali scettici). Ben al di là delle conseguenze fisiche, attesta l’impegno totale del soggetto che accetta di librarsi interamente in questo singolare confronto.

Bisogna anche ammettere che le onde d’urto possono danneggiare concretamente l’integrità fisica dei combattenti che si impegnano troppo nell’ardore degli scambi. Il combattimento può quindi diventare sinonimo di pericolo per il bambino che subisce un cambiamento fisico e psicologico. È quindi opportuno proporre una forma di pratica che, pur avvicinandosi il più vicino possibile alla realtà del confronto faccia a faccia, impone ai praticanti di non entrare mai in una serie di comportamenti incontrollati suscettibili di degenerare rapidamente nel “tutto va bene” di una rissa di strada.

Lo scopo dell’aggressione è quindi quello di controllare l’avversario con azioni motorie specifiche, mettendo nel capitolo dei divieti l’intenzione di traumatizzarlo per metterlo fuori combattimento.

Alcune caratteristiche del bambino

Sappiamo da molto tempo che il bambino non è un adulto in miniatura. Ha i propri bisogni correlati alle varie fasi del suo sviluppo nei vari campi in cui si costruirà la sua personalità: morfologia, fisiologia, motricità, affettività, cognizione, ecc.

Lo sviluppo delle capacità motorie e dell’intelligenza passa attraverso fasi chiaramente evidenziate da Piaget:

  • senso-motoria dalla nascita alla comparsa del linguaggio (circa 2 anni)
  • pensiero preoperativo (dai 3 agli 8 anni)
  • operazioni concrete (da 8 a 12 anni)
  • operazioni formali (dai 12 anni).

La maggior parte delle acquisizioni avviene attraverso la mediazione del gioco, è attraverso le imitazioni e le intuizioni (apparenze percettive, dati figurativi) che si basa l’evoluzione della prassi.

Dal punto di vista dell’educatore sportivo, è il periodo in cui si procede da forme giocate, esercizi di imitazione o giochi, quando si sollecita da piccole sequenze un adattamento globale ponendo problemi di relazione con lo spazio, con il partner, per affinare le percezioni e migliorare il proprio corpo attraverso lo sviluppo dell’indirizzo, la coordinazione, l’equilibrio, nonché un adattamento fisiologico all’esercizio. È nella cosiddetta prima infanzia (dai 10 ai 12 anni) che si osservano le acquisizioni motorie più sicure. Questo è un periodo di sviluppo psicomotorio e sociomotorio, perché il bambino mostra molta più fiducia nel controllare il proprio corpo e nel suo rapporto con gli altri.

Si passa dal pensiero figurativo al pensiero operativo. Sul piano psicologico si nota una regressione dell’egocentrismo per andare verso una maggiore comprensione dell’altro, dei bisogni di iniziativa e indipendenza, la scoperta e l’accettazione delle regole del gioco.Sul piano sociale si nota l’apparizione di una più marcata attrazione verso l’ambiente esterno e desiderio di competizione. Il bambino più grande ha ancora bisogno dell’adulto per fissare i suoi obiettivi, ma chiede libertà di esecuzione. Se conosce un’età di grazia delle acquisizioni motorie, non possiede ancora pienamente i mezzi per sfruttarle. Sul lato relazionale, è attraverso l’imitazione dei ruoli degli adulti e l’identificazione con i caratteri sociali che egli prende a modello che il bambino integrerà un certo numero di norme e socializzerà veramente.

L’adulto e il bambino

Abbiamo indicato fin dall’inizio del nostro intervento la nostra attenzione a tenere conto delle aspirazioni “spontanee” del bambino e degli orientamenti che gli vengono suggeriti dall’adulto, in tutta buona fede. Sembrerebbe, alla luce dell’approccio psicoanalitico, che le famose nozioni di interesse spontaneo del bambino, anche di bisogni, siano giustificate solo sul piano fisiologico o sociologico.

Per quanto riguarda la dimensione psichica, apparirebbero solo domande. Tuttavia, le esigenze sono soggette a influenze perché l’ambiente naturale dell’uomo è un ambiente culturale caratterizzato dalla prevalenza del simbolico, cioè dalla prevalenza delle “rappresentazioni”. Dobbiamo quindi ammettere che la maggior parte dei gusti e delle esigenze del bambino passa attraverso l’esistenza dei vincoli dei sistemi di rappresentazione in cui è catturato. L’adulto deve quindi evitare a tutti i costi le illusioni pedagogiche che lo portano a soddisfare le proprie aspettative, le proprie rappresentazioni.

Proponendo la boxe come sport ai nostri figli, dobbiamo fare piazza pulita dei nostri a priori, dei nostri “pregiudizi” o dobbiamo ripensarli per farli combaciare con l’attività, il bambino, l’allenatore?

È possibile distinguere diversi contributori di diversa provenienza:

  • i genitori, che giustificano la loro scelta in base a determinati valori che riconoscono come fondamentali per lo sviluppo del loro bambino
  • l’educatore (o insegnante) che lo integra in un insieme di attività fisiche finalizzate allo svolgimento dell’educazione fisica dei giovani a lui affidati
  • l’allenatore della società che intende esercitarsi per gli allenamenti, cioè per le competizioni così come definite ed autorizzate dall’ente federale
  • l’arbitro che sarà necessariamente in contatto con il giovane praticante in un determinato momento della sua storia.

Tuttavia, supponiamo che ognuno possa difendere una concezione personale dell’attività e quindi un approccio, una presentazione, una pratica, un fine che saranno tutti diversi.

Interrogativi

Se abbiamo insistito per prolungare questa indagine è perché la domanda posta ci sembra essenziale. Oggi la pratica della boxe è autorizzata dall’età di 8 anni per la boxe didattica, dai 13 anni per la boxe amatoriale, dai 18 anni per la boxe professionistica. Non esiste un limite di età predefinito, fatta eccezione per la boxe educativa che normalmente non può continuare oltre i 16 anni di età.

Il nostro primo approccio ci ha permesso di far avanzare che la boxe è un duello, cioè, sulla scala delle pratiche, un’attività motoria soprattutto informativa e decisionale. Di certo non è l’unica ma, nell’ambito degli sport da combattimento, è sicuramente colei che spinge l’emozione al massimo grado. Si caratterizza per la messa in gioco di due intenzioni antagoniste (quella che P. Parlebas definisce una situazione di controcomunicazione motoria: non c’è un partner ma sempre un avversario). Fa appello a risorse fisiche come velocità, precisione, resistenza a sforzi brevi ma intensi, capacità di gestire l’assunzione di rischi, controllo emotivo, dominio degli altri senza infrangere la regola. È tutto in una dialettica della relazione che induce a porsi fin dall’inizio le interazioni come il fatto fondamentale e a considerare essenziali le ripercussioni pedagogiche.
Occorre quindi tener conto delle prime acquisizioni che verranno privilegiate, dell’età in cui vengono offerte, dei metodi pedagogici previsti. Allude a certi insegnamenti ortodossi in cui le routine comportamentali e gli stereotipi gestuali prevalgono sull’adattamento alla situazione, vale a dire sulla creatività del combattente di fronte al comportamento del suo avversario.

Questa disciplina dovrebbe quindi sollecitare intensamente le capacità cognitive del soggetto in situazione, perché non si tratta di imporre o subire passivamente ma di decodificare permanentemente le intenzioni tattiche degli altri. Ciò dovrebbe consentire di affermare la preponderanza di strategie e tattiche sui gesti tecnici, ovvero l’importanza dell’anticipazione. Non si può non mettere in discussione il rapporto tra gli stadi cognitivi del bambino e la sua efficacia sul campo. Abbiamo notato una relazione crescente tra il livello della logica operativa e l’elaborazione dell’attività in situazione.

Questo dovrebbe portare a interrogarci su una modifica radicale degli approcci pedagogici ma anche delle implementazioni, durante le situazioni di confronto, a seconda dell’età dei bambini a noi affidati.

Prospettive

A che età si può iniziare la pratica dell’ assalto, a che età iniziare la lotta? In quale contesto e secondo quali concezioni dell’opposizione?

Lo sviluppo dello schema corporeo avviene “con” e “contro”, ma le fasi sequenziali delle acquisizioni senso-motorie non richiedono che l’adulto si preoccupi di non sconvolgere l’ordine di questa crescita? proponendo situazioni di confronto in un contesto emotivo esacerbato non si potrebbe generare più blocco che appagamento?

Possiamo chiedere ai bambini piccoli che non hanno ancora raggiunto la fase del pensiero operativo di costruire le loro azioni in termini di strategie e tattiche, in un contesto di stress permanente indotto dalla dimensione fisica della sanzione? Come dirigere, arbitrare e giudicare i confronti? Dove e quanto spesso? Possiamo mischiare i generi (pugilato educativo, amatoriale, professionistico durante lo stesso incontro? Possono essere le stesse guide, gli stessi allenatori, gli stessi arbitri, gli stessi giudici? Gli attuali coach ci rassicurano mostrando la loro capacità di analisi, presentazione e gestione dell’attività? Hanno l’indispensabile facilità pedagogica, proposte di obiettivi accettabili, nell’ottica di uno sport agonistico che voglia essere educativo?

L’abbassamento dell’età dei praticanti principianti non è in contraddizione con una recente indagine sociologica (Federazione di Judo) che mostra che chi si arrende a 15 anni è chi ha iniziato per primo?

Quale immagine del marchio del pugilato della disciplina viene trasmessa secondo il parere dalla pratica dei bambini molto piccoli?

Quali sono le variazioni tra significante e significato, a seconda che si appartenga alla grande famiglia del pugilato, o se si sia uno spettatore interessato, o un testimone non direttamente interessato?

Quali sono le sfide per l’istituzione federale? Aumento dei licenziatari, qualità dei futuri concorrenti così avviati, modifica dell’immagine del marchio?

Quali sono i rischi reali, di ogni tipo, per i praticanti, gli allenatori, i dirigenti, la Federazione e noi stessi?

È ipotizzabile che il materiale utilizzato sia sostanzialmente lo stesso di quello utilizzato dagli adulti?

Cosa significa un paio di guanti da otto once nelle mani di un bambino di 8-10 anni e di un anziano a pieno regime?

Dovremmo pensare che il caschetto possa rimanere identico così come il paradenti?

Qual è la differenza nel rapporto con lo spazio (6 m x 6 m) tra un adulto e un bambino (i pulcini, i più piccoli, minimal, giocano sugli stessi campi di calcio o basket dei più grandi?)

A partire dagli 8 anni può corrispondere un desiderio di iniziazione non specifico al pugilato ma a forme di opposizione che si avvicinano sotto la copertura delle forme giocate. Ma allora, quale pedagogo dovrebbe essere responsabile di questo insegnamento: insegnante di sport, insegnante di educazione fisica, allenatore di società tradizionali? A partire dai 10 anni può quindi corrispondere un approccio più preciso, che, pur rimanendo relativamente globale, consente di indirizzare in modo più specifico le competenze necessarie alla pratica dell’aggressione, che possono essere inizia a 12 anni. L’inizio tra i 12 anni e la pubertà può essere parte di un problema più generale, quello di tutte le discipline di combattimento o arti marziali, tenendo conto della fragilità temporanea della “vecchia infanzia” con un minimo di rischio.

Yang Jian (1140-1226) e la sua critica della nozione di Intenzione (yi)

Wang Frédéric. Yang Jian (1140-1226) et sa critique de la notion d’intention (yi). In: Études chinoises, n°26, 2007. pp.
163-189;
doi : https://doi.org/10.3406/etchi.2007.905 https://www.persee.fr/doc/etchi_0755-5857_2007_num_26_1_905

Traduzione di Storti Enrico

Immagine di Yang Jian

Sinossi

Yang Jian, uno dei principali discepoli di Lu Jiuyuan, ha sviluppato le tesi intuizioniste del suo maestro, mettendo l’accento sulla nozione di xin, cuore o mente.
Yang incentra ugualmente le sue riflessioni su “yi”, che noi proponiamo di tradurre con “intenzione”. Egli la oppone allo xin e la considera l’origine di ogni deriva morale. “Frenare la comparsa dell’ intenzione” (bu qi yi) diviene così essenziale per la pratica morale e la parola chiave nelle sue interpretazioni dei Classici Confuciani. Questo approccio, non senza collegamenti con il buddismo Chan, è spesso criticato. Una lettura attenta permette di sfumare il nostro sguardo su questo pensatore erudito e ancora poco studiato in occidente.

Introduzione


In un epoca in cui l’economia e la cultura conobbero finalmente l’euforia dopo i sessanta anni di divisione che avevano seguito la grande dinastia dei Tang, gli uomini di lettere dei Song erano abitati da un ottimismo senza precedenti e la ferma volontà di voler ritrovare la Via giudicata persa dopo Mencio. Molti si considerarono suoi autentici successori e i detentori della via autentica (daotong 道統) 1. La loro ambizione era di “riunire lo spirito di Cielo-Terra”, di “ristabilire la Via del popolo”, di “dedicarsi agli studi degli antichi santi” e di “creare la pace per 10.000 generazioni”.2 Il neo-confucianesimo, interpretazione dello studio del Dao o del Li 理 (Principio o ragione delle cose) 3, è una tappa fondamentale del confucianesimo e di tutta la storia del pensiero cinese. Reazione alla crescente potenza del buddismo a partire dai Tang, questi letterati, dotati di un senso critico straordinario, si lanciarono in nuove interpretazioni del corpus confuciano associando il suo aspetto ontologico all’etica. Questo movimento nato in Cina grazie allo sviluppo delle accademie, luoghi per eccellenza di un insegnamento dispensato dai grandi maestri, in seguito ha conquistato gli altri paesi sinizzati. Malgrado l’importanza dei lavori realizzati sul neo-confucianesimo, in Cina come in Occidente, certi autori maggiori restano poco studiati, ad eccezione di figure emblematiche come Zhu Xi 朱熹 (1130-1200) e Wang Yangming 王陽明 (1472-1529) – nato Wang Shouren 王守仁. Allo stesso modo il pensiero di Yang Jian 楊簡 (1140-1226) è ancora poco conosciuto 4 rispetto a quello del suo maestro Lu Jiuyuan 陸九淵 (1139-1193) – anche detto Lu Xiangshan 陸象山 –, rappresentante dell’intuizionismo dei Song e antagonista di Zhu Xi. Per Lu Jiuyuan, tutto nasce dal proprio cuore: “il cuore, tutto il mondo è la; è il principio stesso.” Questo autore si oppose alla distinzione tra Dao e qi 氣 (energia, soffio) fatta da Zhu Xi in nome della differenza tra monte e avvallamento delle forme. Se Zhu Xi fondava la comprensione del Principio sull’esame delle cose e sull’erudizione, Lu Jiuyuan propose un metodo più semplice: scoprire il cuore sincero (benxin 本心 ). “Gli antichi dicevano non insegnate che il modo di preservare e di nutrire il cuore per averne la tranquillità”. La sua preoccupazione si rivolge quindi al modo di essere uomo: come essere la persona più comune, ma capace di tutto quando le situazioni lo esigono. Facendo allusione a Mencio, Lu Jiuyuan dice: “Ciò che costituisce il cuore è grande. Quando il nostro cuore è pienamente sviluppato, esso si identifica con il Cielo”. 5
Il cuore è così posto non solo come fondamento dell’individuo, ma anche come quello dell’universo rappresentato dal Cielo.

Fedele all’insegnamento del suo maestro consistente nello “stare eretti in ciò che è grande”, cioè il cuore, chiamato sin da Mencio “corpo maggiore” (dati 大體), Yang Jian sviluppa nelle sue esegesi dei Classici questa nozione fondamentale che ha le seguenti caratteristiche: interiorità (neizai xing 内在性), trascendentalità (chaoyue xing 超越性), luminosità e spiritualità (shenming xing 神明性), vacuità e incorporeità (xu er wuti xing 虛而無體性), comunicabilità con le diecimila cose (gantong wanwu xing 感通萬物性) e la moralità (daode lunli xing 道德倫理性). Per Yang Jian lo xin è sinonimo di Dao, la nozione più ricorrente nei suoi scritti, e che ha altre denominazioni: origine primordiale元 (yuan ), uno supremo 大一 (dayi), suprema saggezza 太貞 (taizhen), sommità o limite 極 (ji), temporalità 時 (shi), giusto mezzo e rettitudine 中正 (zhongzheng) 6.
Yang Jian cerca di realizzare l’unione della sua ontologia basata su xin e pratica morale (gongfu lun 功夫論) segnata dall’autoesame di coscienza (fanguan 反觀) 7 e dall’ “imbrigliare” l’emergere di yi 意 “etimologicamente indicante un’articolazione del discorso del cuore” 8. Questo termine yi, polisemico, può significare “intenzione”, “volontà”, “coscienza” e “significato”.
Come “significato” o “senso”, lo yi si manifesta con mezzi linguistici (yan 言) e visivi (xiang 象) secondo Wang Bi 王弼 (226-249), che su questo punto fece una sintesi del Libro delle mutazioni e Zhuangzi 9. Questo è un aspetto fondamentale dell’estetica cinese. La nostra discussione qui si concentra maggiormente sul significato filosofico di yi spesso tradotto con “will”, “will” in inglese – tale è stata la scelta di Chan Wing-tsit e Tu Wei-ming. Anne Cheng nella sua Storia del pensiero cinese e François Jullien in La grande image n’a pas de forme: ou du non-objet de la peinture 10 propongono di tradurlo con “intenzionalità”, che va intesa, in un approccio fenomenologico , sia come pura coscienza che come donazione di significato.
Senza rinunciare a questo significato di yi di cui abbiamo discusso altrove 11, preferiamo il termine “intenzione” per evitare ogni confusione con la terminologia fenomenologica. Riserveremo il termine “idea” per tradurre nian 念, altro philosophema a cui yi è intimamente legato. Nel complesso, nian evoca per i confuciani un carattere fortuito di “pensiero”, parola spesso usata per la sua traduzione nella letteratura del buddismo intuizionista; è quindi meno neutrale di yi. Ma questa sfumatura è abbastanza relativa in quanto alcuni pensatori tendono a identificarli. Questa è anche la scelta di Yang Jian, accusato di orientamento buddista. Ma cosa giustifica questa critica formulata dai suoi contemporanei e soprattutto dai pensatori Ming? Qual è dunque l’originalità della lettura dello yi data da Yang Jian, e questa rispetto ad altri pensatori del suo tempo? In che modo basa la pratica morale sul rigetto di questa nozione? In altre parole, è possibile avere un’emozione (qing 情) 12 priva di qualsiasi intenzione? Queste domande rimarrebbero senza risposta se prescindessimo dal suo percorso personale e dal suo ruolo nell’intuizionismo e più in generale nella storia del pensiero cinese.
Senza pretendere un’analisi esaustiva dello yi, cercheremo, grazie all’approccio critico di Yang Jian, di individuare alcuni tratti comuni di questa nozione tra i neo-confuciani dei Song.

Raccolta completa delle opere di Yang Jian

Vita e opere di Yang Jian

Si trovano dei dati biografici su Yang Jian nel necrologio redatto dal suo discepolo Qian Shi 錢時 13 all’inizio dell’anno 1227, cioè poco tempo dopo la sua morte, in diverse biografie delle Storie dei Song (Songshi 宋史) che lo concernono, in “Scuole dei Letterati dei Song e degli Yuan (Song Yuan xue’an 宋元學案) di Huang Zongxi 黃宗羲 (1610-1695) e Quan Zuwang 全祖望 (1705-1755) ed infine nella genealogia redatta da Feng Keyong 馮可鏞 (1831-1890) e Ye Yishen 葉意深.
Quest’ultimo documento, che fa riferimento a tutti quelli precedenti, contiene le informazioni più ricche e più complete. Secondo il Necrologio, la famiglia Yang era originaria di Tiantai 天台 nella prefettura di Taizhou, attualmente provincia di Zhejiang. I loro antenati di decima generazione abbandonarono Ninghai 寧海 nella stessa prefettura 14 per trasferirsi a
Fenghua 奉化 nella prefettura di Mingzhou 明州 (attuale Ningbo) dove Yang Jian nacque nel 1141, cioè l’undicesimo anno dell’era Shaoxing 紹興 sotto il regno di Gaozong 高宗. La famiglia si stabilì poi a Yin 鄞 che abbandonerà in occasione di un invasione della riva destra del fiume Huai nel 1162 da parte dei Jürchen, mettendosi al riparo e infine restare a Cixi 慈溪. Yang Jian, nome pubblico Jingzhong 敬仲, chiamato anche maestro Cihu 慈湖 (lago dell’amore compassionevole) perché aveva costruito la sua dimora sul lago Derun 德潤 (virtù profonda) o Ci 慈 (amore compassionevole), nel 1166 entrò nel Collegio Imperiale (Taixue 太學) e qui ebbe come compagni di studio Yuan Xie 袁燮 (1144-1224), Shu Lin 舒璘 (1136-1199), Shen Huan 沈煥 (1139-1191) che divennero come lui grandi discepoli di Lu Jiuyuan (Lu Xianshan) e furono i “quattro maestri di Ningbo” (Yongshang si xian-sheng 甬上四先生). Ebbero come professore al Collegio Imperiale
Lu Jiuling 陸九齡 (1132-1180), fratello maggiore di Lu Jiuyuan, che scrisse nell’epitaffio del padre di Yang Jian che quest’ultimo “era il migliore negli studi del libro delle mutazioni tra tutti gli studenti del Collegio Imperiale ” 15.
Divenuto jinshi nel 1169, cioè il quinto anno dell’era Qiandao 乾道 sotto il regno di Xiaozong 孝宗, Yang Jian ottenne, come primo incarico un posto di aggiunto al sotto prefetto del distretto di Fuyang 富陽 16. Fu qui che tre anni più tardi incontrò Lu Jiuyuan, più anziano di due anni, con il quale ebbe un colloquio che lo convinse a diventare suo allievo. Questo incontro è riportato in diverse fonti sia da Yang Jian che dallo stesso Lu Jiuyuan. Yang Jian aveva ricoperto altri incarichi come sottoprefetto del distretto di Leping 樂平 nell’attuale Jiangxi o dottore presso il Collegio Imperiale (Guozi boshi 國子博士).
Durante l’era Qingyuan 慶元 (1195-1201) sotto il regno dell’imperatore Ningzong 寧宗 (1194-1224), la famosa “Proscrizione della fazione politica” che ha preso di mira il primo ministro Zhao Ruyu 趙汝愚 (1140-1196) e i neo-confuciani rappresentati da Zhu Xi sostenuto da Yang Jian, lo portò al ritiro per 14 anni. Ciò fino a quando all’età di 69 anni Yang Jian è stato richiamato in tribunale per diventare un editore e compilatore presso l’Ufficio di storiografia e un esaminatore-revisore del tribunale dei Veri Documenti. Ha concluso la sua carriera all’età di 86 anni come accademico ausiliario (zhi xueshi 直學士) presso il Gabinetto per la promozione delle lettere (Fuwen Ge 敷文閣) con il titolo onorifico di Gran dignitario del grande ambiente (tai zhong daifu 太中大夫). Morì poco dopo essersi ritirato definitivamente dagli affari mondani.

Sul piano politico, Yang Jian sostenne l’abolizione del sistema degli esami di mandarinato a favore di una selezione di rappresentanti statali a livello di villaggio come nell’antichità, e il ripristino dell’antica pratica delle terre comunali, il jingtian 井田. L’imperatore non accettò questi suggerimenti. Intorno all’anno 1213, una carestia imperversò nel nord nei territori sotto il controllo dei Jürchen e migliaia di persone fuggirono a sud. Furono fermati lungo la strada dalle guardie Huai che non esitarono a bersagliarli, episodio che rattristò molto Yang Jian, allora 73enne:

È facile conquistare la terra, ma non il cuore degli uomini. Dentro o fuori dai quattro mari, tutti sono cinesi. Mentre l’antica popolazione della nostra terra di mezzo fugge dalle grandi sofferenze tornando tra le braccia dei propri genitori, noi non ci aggrappiamo più a pochi stai di grano e conduciamo alla morte i nostri compatrioti. Questi ultimi cercano di evitare la morte, ma vi vengono trascinati più rapidamente. Come è paragonabile ciò con la via dell’Imperatore in Alto di placare i quattro orienti? 17

Lo stesso giorno scrisse un rapporto all’imperatore che non ricevette mai. Yang Jian ha chiesto di essere sollevato dall’incarico e ha sospirato: “Ho già 73 anni. Sono venuto nella capitale otto volte e ho incontrato l’imperatore quattro volte. Ma le mie parole non sono accettate. Non sono adatto all’Impero” 18.
Le generazioni successive ritenevano le sue opinioni non in linea con quelle del suo tempo, anche se in pratica sapeva adattarsi alla realtà 19.
Sebbene Yang Jian non abbia avuto una carriera mandarinale di grande successo, era noto per la sua integrità e la sua devozione allo studio, cosa che incoraggiava gli altri a fare dove era in carica. La sua biografia di Songshi rivela che: “La gente di Fuyang praticava piuttosto il commercio senza saper studiare, Yang Jian promuoveva gli studi e innalzava [lo status] degli studiosi. Il livello culturale è stato gradualmente migliorato” 20. Fu apprezzato e raccomandato all’imperatore da Zhu Xi. Nonostante le differenze filosofiche tra i discepoli di Yang e Zhu Xi, come Chen Chun 陳淳 (1159-1223) 21, che lo criticò per il suo cripto-buddismo Chan, ci fu unanime lode per la sua integrità e il ruolo che svolse nello sviluppo dalla scuola di Lu Jiuyuan. Zhen Dexiu 真德秀 (1178-1235) 22 che, addestrato da un allievo di Zhu Xi, godette di grande reputazione dopo la sua morte, ammirava anche molto Yang Jian e si considerava suo discepolo, pur rammaricandosi di non aver potuto beneficiare più direttamente dal suo insegnamento 23.
Le opere di Yang Jian sono numerose. Ce ne sono 12 secondo il Songshi, 24 secondo la monografia del distretto di Cixi, 30 secondo Zhang Shouyong 張壽鏞 (1876-1945). Tra questi titoli spiccano lo Yangshi yizhuan 楊氏易傳 (commento di Yang Jian al Libro delle mutazioni) e il Cihu yishu compilato dai suoi discepoli. Il suo commento al Libro delle Mutazioni consiste in un approccio molto soggettivo che include i cambiamenti del mondo nel campo dello spirito e di se stessi. Esistono diverse versioni del Cihu yishu, la più nota delle quali è quella del Siku quanshu in 19 juan dove vengono spostati alcuni capitoli come “Juesi ji” 絕四記 (Memoria sui quattro rifiuti) e quella del Siming congshu四明叢書 in 18 juan arricchito da due juan [da una suite] (Xuji 續集), supplementi (Bubian 補編) compilati da Feng Keyong 馮可鏞, nuove appendici dovute a Zhang Shouyong, l’editore della raccolta, due juan di genealogia e ‘Una nota sugli scritti di Yang Jian. Questi documenti aggiuntivi sono molto utili, motivo per cui preferiamo questa edizione.

万历二十三年刻本杨氏易传宋朝杨简撰

Lo yi tra gli altri pensatori dei Song

Tutto è iniziato con i Lunyu 論語 (I discorsi di Confucio) dove è scritto che «il Maestro rifiuta quattro cose: intenzione, necessità, testardaggine ed ego» 24. Questa frase lapidaria che non dice nulla in relazione al suo contesto susciterà numerosi commenti da parte dei neo-Confuciani incluso Zhang Zai (1020-1077):

I “quattro rifiuti” di Confucio sono un insegnamento che ha praticato dall’inizio alla fine, dall’inizio dello studio alla realizzazione della virtù. […] Intenzione significa avere pensieri; la necessità è aspettare [un risultato]; testardaggine significa non trasformarsi; l’ego deve occupare solo una posizione. Se uno ha uno qualsiasi di questi quattro elementi, allora [la mente] non può assomigliare al cielo e alla terra. Quando la ragione celeste percorre tutto, non c’è intenzione, necessità, testardaggine, ego. Non appena esiste uno di questi aspetti, non c’è più alcuna questione di autenticità. Abbandonandoli completamente si può coltivare la rettitudine senza danno.
仲尼絕四,自始學至成德,竭兩端之教也…意,有思也;必,有待也; 固,不化也;我,有方也。四者有一焉,則與天地為不相似。天理一貫, 則無意、必、固、我之鑿。意、必、固、我,一物存焉,非誠也;四者盡 去,則直養而無害矣. 25

Zhang Zai assimila l’intenzione che qui è la traduzione del termine yi 意 al pensiero, all’idea preconcetta, alla volontà di realizzare qualcosa. Per lui yi è inseparabile dall’interesse (li 利), mentre sostiene un’aspirazione naturale (zhi 志) alla santità. 26 Un’aspirazione che secondo Wang Fuzhi 王夫之 (1619-1692) è “ambiziosa, libera, comprendente tutti i principi organizzativi” (大而虛含眾理), in contrapposizione all’intenzione che è “ristretta e parziale” (小而滯於一隅) 27. La cosa importante nell’approccio di Zhang Zai è non proiettare i risultati su un’azione. Wang Fuzhi continua così il suo commento sul passaggio di Zhang Zai:

Tra intenzione, necessità, testardaggine ed ego, l’intenzione è la radice. Necessità, testardaggine ed ego nascono tutti dall’intenzione senza la quale si annientano. Quando ci si inizia allo studio [confuciano], si mette nella rettitudine il senso del dovere senza cercare il profitto e si chiarisce il Dao senza pensare ai meriti. Quando vi si accede si affina il senso del dovere e matura il senso di umanità; facciamo ciò che deve essere fatto e agiamo secondo i momenti; operiamo trasformazioni dove passiamo. All’inizio della lotta per la santità così come al culmine della virtù del cielo, sia che si studi da vicino o si raggiunga una comprensione superiore, il [funzionamento] è lo stesso a questo riguardo.
意、必、固、我,以意為根;必、固、我者,皆其意也,無意而後三者可 絕也。初學之始,正義而不謀利,明道而不計功;及其至也,義精仁熟, 當為而為,與時偕行,而所過者化矣。聖功之始基,即天德之極致,下學 上達,一於此也. 28

Per Wang Fuzhi, tutti e quattro questi elementi fanno parte delle “illusioni” (wang 妄, termine già usato da Zhang Zai), che dovrebbero essere rimosse affinché la nostra mente possa unirsi alla realtà della ragione celeste. Wang Fuzhi dice altrove che lo yi, che non ha una costituzione permanente (wu hengti 無恆體), “può formarsi senza [la presenza di oggetti] da contrarre” 30. In altre parole, lo yi, contrariamente allo xin che agisce in modo naturale e spontaneo di fronte ai fenomeni presenti, può riferirsi a cose passate o future, anche dirigersi verso l’irreale 31.
Vedremo in seguito che, nella sua analisi dei “quattro rifiuti”, Yang Jian tiene presente anche l’intenzione che determina gli altri tre elementi.
Sebbene nulla indica che quest’ultimo fosse un lettore di Zhang Zai, è improbabile che non fosse a conoscenza di questo passaggio dello Zhengmeng. Sappiamo che Zhou Dunyi 周敦頤 (1017-1073) attribuì estrema importanza alla parola chengyi 誠意 che significa “rendere autentico o perfezionare la propria intenzione”.
La discussione di Zhu Xi su yi 意 (intenzione) è legata alla sua interpretazione del Daxue 大學 (Il grande studio), testo inserito dagli studiosi Han nelle Liji 禮記 (Memorie sui riti) e che Zhu Xi pone a capo del Quattro libri davanti allo Zhongyong 中庸 (L’invariabile mezzo), al Lunyu 論語 (I discorsi di Confucio) e al Mengzi 孟子. Lui dice :

[Nel Daxue si dice:] Persegui la conoscenza, autentica l’intenzione, rettifica la mente (xin). La conoscenza e l’intenzione emanano tutte dal cuore. L’aspetto principale della conoscenza è il discernimento, quello dell’intenzione è l’azione pianificata. La conoscenza è vicina alla Natura (xing), alla costituzione (ti), mentre l’intenzione è vicina all’emozione (qing), alla funzione (yong).
致知,誠意,正心,知與意皆從心出來。知則主於別識,意則主於營為。 知近性,近體;意則近情,近用. 32

Zhu Xi traccia diversi parallelismi: il rapporto tra conoscenza e intenzione è identico o paragonabile a quello esistente tra il ti 體 (fondamento, sostanza, corpo, costituzione) e lo yong 用 (funzione, attuazione) 33 e al rapporto tra natura e emozioni umane. Riunisce l’intenzione e l’emozione pur distinguendole, perché l’intenzione implica ugualmente per lui la ragione di un’emozione. Allo stesso tempo, l’intenzione è il “dispiegamento di idee [istantanee] (nian 念)” non estraneo alle “intenzioni personali (siyi 私意)” che devono essere rese autentiche. È il suo discepolo, Chen Chun 陳淳, che fornisce maggiori dettagli su questa nozione che include nel suo Beixi ziyi 北溪字義 (Il significato dei termini [neo-confuciani] secondo Chen Chun):
“Yi è il dispiegarsi della mente e significa pensiero e operazione” (yi zhe, xin zhi suo fa ye, you si-liang yunyong zhi yi 意者,心之所發也,有思量運用之義). Sottolinea che yi è una “idea fortuita che emana dalla mente” (xin shang faqi yi nian 心上發起一念), a differenza dell’emozione (qing 情) che è il movimento della Natura (xing zhi dong 性之動) e che opera globalmente (quanti全體).
Chen Chun distingue così le differenze concettuali tra cuore o mente (xin 心), emozione, natura [umana] (xing 性), intenzione (yi 意), aspirazione (zhi 志), principio o ragione delle cose (li 理) e destino (ming 命):


Considerati globalmente, essi (spirito, natura, intenzione, ecc.) si presentano davanti a noi non appena incontriamo le cose. Ma quando si tratta di una cosa concreta, [si osserva]: ciò che governa l’interno è il cuore;
la gioia o la rabbia che emana dal suo movimento sono le emozioni; ciò che può essere attivato internamente è la Natura; operare e pensare per identificare le persone verso le quali è diretta la gioia o la rabbia è l’intenzione; Dirigere la propria mente verso quelle persone che hanno causato gioia o rabbia è aspirazione. La vera misura della gioia e dell’ira, che scaturisce dalla Via e dal principio di natura, è, da ciò che deve essere, il principio delle cose; la fonte di ciò che deve essere così è il destino. Tutte queste cose sono davanti a noi, mai separate ma in perfetto ordine.
合數者而觀,纔應接事物時,便都呈露在面前。且如一件事物來接著,在 内心主宰者是心;動出來或喜或怒是情;裏面有個物能動出來底是性;運 用商量,要喜那人,要怒那人,是意;心向那所喜所怒之人,是志;喜怒 之中節處,又是性中道理流出來,即其當然之則處,是理;其所以當然之 根原處,是命。一下,許多事物,都在面前,未嘗相離,亦燦然不相絮 亂. 34

Chen Chun classifica e chiarisce i diversi concetti usati dal suo maestro Zhu Xi nelle sue interpretazioni dei Classici 35. Si può vedere che l’intenzione in Chen Chun è un’emozione orientata, vale a dire che lo yi ha uno scopo, un’identificazione di persone “a cui è diretta la gioia o la rabbia”. D’altra parte, il contrasto tra lo zhi 志 e lo yi, molto evidente in Zhang Zai, si riduce in Chen Chun, in quanto entrambi “tendono verso” (quxiang 趨向) qualcosa, l’oggetto di un’emozione. È indubbiamente questo aspetto “mirato”, “orientato” dell’intenzione che verrà mantenuto da Liu Zongzhou 劉宗周 (1578-1645) con una modifica sostanziale del suo contenuto. Ma è Yang Jian che torna molto sistematicamente ai “quattro rifiuti” di Confucio in un senso molto vicino a Zhang Zai.

La critica dello yi di Yang Jian

万历二十三年刻本杨氏易传宋朝杨简撰

Come primo discepolo e successore di Lu Jiuyuan, Yang Jian ereditò il suo pensiero e lo sviluppò. Rimase fedele al suo maestro per il quale il suo stesso cuore (benxin 本心) ha autorità assoluta, anche a scapito dei Classici: “I sei Classici, dice Lu Jiuyuan, servono a segnare la mia mente” (Liujing jie wo zhujiao 六經皆我注腳) 36. Yang aderisce alla tesi principale di Lu secondo cui “la mente o il cuore è il Principio” (xin ji li 心即理) 37 o “l’universo è il mio cuore e il mio cuore è l’universo”. Tuttavia, il termine li (Principio, ragione delle cose) non occuperà più una posizione centrale negli scritti di Yang Jian. Contrariamente a Lu che disdegnava di scrivere ritenendo che la verità risieda solo nel nostro cuore, Yang fu un autore prolifico, da qui anche il carattere “straripante” (lan 濫) e “diverso” (za 雜) in relazione ai suoi compagni di studio nel parole di Quan Zuwang 38. Secondo Huang Zongxi, Yang ha preso come punto di partenza il “frenare l’intenzione” (bu qi yi 不起意) in riferimento alla vera eredità del suo maestro. “Ma il lavoro di [Yang] Cihu, dice Huang Zongxi, è meticoloso a differenza di quello di [Lu] Xianshan che si impone o liquida tutto senza nemmeno aver compreso certi punti dei Classici e dei loro Commentari. È qui che [Yang] supera il suo maestro” 39. Possiamo aggiungere che se l’analisi della nozione di yi da parte di Lu è poco esplicita, quella di Yang è invece finemente svolta. Lo yi è un termine ricorrente e senza dubbio la parola chiave del Cihu yi-shu. Yang Jian definisce negativamente l’intenzione che si oppone al cuore (xin). Dice: “Il cuore dell’uomo è retto (zheng 正) in origine. Quando diventa emotivo (qi 起), diventa intenzione (yi) e poi confusione (hun 昏). Se il cuore non è mosso e confuso, è retto e [può] dilatarsi».40 Yang Jian che ama citare la frase “l’essenza e il potere spirituale del cuore è ciò che si chiama santità” (xin zhi jing-shen shi wei sheng 心之精神是謂聖), attribuita a Confucio 41, identifica lo xin al Tao. Lui dice :

Il daoxin 道心 (lo spirito del Dao) non significa che ci sia uno xin 心 al di fuori del Dao. Questo perché il Dao è chiamato senza ostruzioni. Confucio disse a Zisi [suo nipote], “l’essenza e il potere spirituale del cuore è ciò che si chiama santità”. Santità è anche il nome della non ostruzione. Tutti hanno questo cuore che non è privo di santità, essenza e potere spirituale. Non ha corpo (ti 體), né materia (zhi 質). Non è ostacolato dai confini. È ovunque senza alcun ostacolo. 42

La non distinzione tra Daoxin e renxin prende di mira esplicitamente Cheng Yi e Zhu Xi così come i loro discepoli, per i quali lo spirito del Dao risulta dalla percezione dei principi morali, mentre lo spirito dell’uomo si riferisce all’aspetto fisico dello xin. Per Yang, “Daoxin è grande e identico. Queste sono persone che cercano differenze in esso. Il cuore dell’uomo (renxin) è di per sé buono (shan 善), prodigioso (ling 靈), luminoso (ming 明). È il potere spirituale (shen 神) stesso. Il cuore dell’uomo è il Dao” 43. Yang insiste sull’uso ordinario (il significato di yong 庸 nello Zhongyong 中庸, The Invariable Middle), vale a dire la moralità della vita quotidiana. Passiamo senza indugio al capitolo “Juesi ji” 絕四記 del Cihu yishu, dove l’analisi dello yi è la più densa. Yang inizia questo famoso testo con le seguenti frasi:

Il cuore dell’uomo è di per sé luminoso, prodigioso. Con la manifestazione dell’intenzione, subentra l’ego, il dogmatismo e la testardaggine [diventano] ostacoli e impedimenti. Di qui l’inizio della perdita della sua luminosità e del suo prodigio. Ogni giorno Confucio rispondeva pacatamente alle domande dei discepoli e ripeteva instancabilmente i suoi avvertimenti per frenare i loro difetti che si riassumevano in quattro: intenzione, dogmatismo, testardaggine ed ego.
Non appena un discepolo aveva questi, il Maestro doveva porvi fine. “Non…” è una parola che significa “rifiutare”. Confucio sapeva che ogni uomo ha una natura estremamente prodigiosa, luminosa, e dotata di grandezza, saggezza e persino santità: questa non si cerca né si ottiene dall’esterno. È una natura che ha una propria origine e radice, forza spirituale e luminosità. Solo l’apparenza dell’intenzione la copre di dogmatismo, ostinazione, ego, confusione; ogni inizio di occultamento viene da esso. Ecco perché [Confucio], secondo le forme dei difetti, li respingeva costantemente e diceva che non si doveva fare questo o quello. Il santo non poteva offrire il Dao alle persone, ma togliere loro l’occultamento, proprio come il vuoto supremo, che, inizialmente puro e luminoso, può essere coperto dai vapori nuvolosi. Ma ridiventa pura e luminosa, una volta che i vapori nuvolosi si sono dissipati. Tuttavia ogni uomo possiede intrinsecamente una natura pura e luminosa che si ottiene senza la minima ricerca e che si acquisisce senza il minimo sforzo. Ecco perché nello Zhongyong si dice: “L’autenticità è auto-perfezione; la via è la sua via». 44 Dice Mencio: «Il sentimento della compassione, ce l’hanno tutti; il sentimento di vergogna e avversione, ce l’hanno tutti; il sentimento di rispetto ce l’hanno tutti e il sentimento di giustizia ce l’hanno anche tutti. “Il senso di umanità, il senso del dovere, il rito e la saggezza non sono cose sciolte in me dall’esterno; sono dentro di me.
人心自明,人心自靈,意起我立,必固礙塞,始丧其明,始失其靈。孔子 日與門弟子從容問答,其諄諄告戒,止絕學者之病,大略有四:曰意,曰 必、曰固、曰我。門弟子有一與此,聖人必止絕之。毋者,止絕之辭,知 夫人皆有至靈至明,廣大聖智之性,不假外求,不由外得,自本自根,自 神自明,微生意焉,故蔽之有必焉,故蔽之有固焉,故蔽之有我焉,故蔽 之昏,蔽之端,盡由於此,故每每隨其病之所形,而止絕之,曰毋如此, 毋如此。聖人不能以道與人,能去人之蔽爾,如太虛未始不清明,有雲氣 焉,故蔽之,去其雲氣,則清明矣。夫清明之性,人之所自有,不求而 獲,不取而得,故中庸曰:“誠者,自成也;而道,自道也。"孟子曰: “惻隱之心,人皆有之,羞惡之心,人皆有之,恭敬之心,人皆有之,是 非之心,人皆有之。"仁義禮智非由外鑠,我固有之也. 45

L’intenzione non è per Yang Jian una semplice attività della coscienza, un movimento del cuore, ma racchiude ciò che Yang Jian identifica come la natura fondamentale dell’uomo. Su questo punto critica Mencio per aver detto che era necessario “preservare il proprio cuore e nutrire la propria natura” (cunxin yangxing 存心養性), perché per Yang questo porta gli studiosi a pensare che il cuore e la natura siano due entità differenti 46 . Colpisce in questo senso la metafora dei “vapori torbidi”: non appena il cuore è liberato o “scoperto” da yi, se possiamo permetterci il gioco di parole, riacquista la sua natura naturale, la sua, la sua autenticità e il suo splendore. Ecco come cerca di definire questa nozione:

Che cos’è yi? Il minimo movimento si chiama yi. Questo è anche il caso del minimo riposo. Le forme dello yi sono innumerevoli. Possono essere benefiche o cattive, ragionate o erronee, offensive o difensive, vuote o piene, abbondanti o insufficienti, disperse o condensate, obbedienti o ribelli, anticipate o ritardate, alte o basse, fondamentali o funzionali, essenziali o accessorie, qui o altrove, in movimento o a riposo, attuali o antiche. Tutte queste categorie non possono essere esaurite, anche se si concentra la sforzo su un giorno intero o su un anno intero, anche se lo si espone in tutte le dimensioni orizzontali e verticali, larghe e lunghe. Quindi qual è la differenza tra il cuore e lo yi?
Queste due cose non erano originariamente divise. Non appena c’è la “copertura”, si dividono. Uno è il cuore; due è lo yi. La giustizia è il cuore; la divergenza è la yi; la libertà di movimento è il cuore;
l’ostacolo è lo yi.
何謂意?微起焉,皆謂之意,微止焉,皆謂之意。意之為狀,不可勝窮, 有利有害,有是有非,有進有退,有虛有實,有多有寡,有散有合,有依 有違,有前有後,有上有下,有體有用,有本有末,有此有彼,有動有 静,有今有古。若此之類,虽窮日之力,窮年之力,縱說横說,廣說備 說,不可得而盡。然则心與意奚辨?是二者未始不一,蔽者自不一。一则 為心,二则為意;直則為心,支則為意;通則為心,阻則為意. 47

A differenza di Confucio che intende yi come un idea preconcetta o una soggettività troppo grande che porta inevitabilmente al dogmatismo, all’ostinazione e all’egoismo, Yang gli fornisce un senso molto esteso considerandolo come l’aspetto negativo del cuore, rivestito di una positività naturale. Di conseguenza, bisogna evitare l’intenzione o il concepimento delle idee (fu yi 弗意). Riassumendo, l’intenzione è ai suoi occhi il motore del male presso l’uomo, tesi che sarà totalmente trasformata da Wang Yangming. L’ego, prodotto direttamente dall’intenzione, è considerato da Yang Jian come un “piccolo me” (xiaowo 小我). Questo me parcellizzato ostacola un “grande me” (dawo 大我), un me universale che non nient’altro che il mio cuore. Bloccare l’intenzione è quindi per Yang Jian la sola possibilità di non ostruire il cuore, impedire dunque la sua comunicazione con il mondo dei fenomeni. Ecco la tesi forte del suo intuitizionismo. La critica della nozione di Intenzione non può essere compresa se non si distingue questi due livelli del wo. La radicalizzazione del suo percorso a confronto con gli altri pensatori neo-Confuciani, consiste nel mettere in guardia contro tutti i tentativi di “dividere” lo xin, di distruggere la sua unicità. Questi presupposti teorici posti, Yang Jian cerca di applicarli nelle sue interpretazioni dei Classici, di cui è l’esegeta senza dubbio più prolifico della scuola intuitizionista. Commentando “dal drago nascosto non attenderti alcuna utilità, [ciò perché] il tratto Yang si trova in basso”(潛龍勿用, 陽在下也), frase estrapolata dall’ “ala” (yi 翼) Xiao xiang 小 象 (piccolo commentario delle figure ) del primo esagramma
Qian 乾 del Libro delle mutazioni 48, Yang Jian scrisse:

Se le persone non si accontentano di trovarsi in una posizione inferiore e spesso hanno l’intenzione di essere promossi o utilizzati, saranno mossi dall’intenzione e perderanno così il loro cuore. Il cuore dell’uomo, essendo estremamente spirituale e luminoso, crea unione tra Cielo e Terra, è perciò che il soffio Yang si trova in basso. Nella sua tranquillità, questo soffio Yang si accontenta di questa posizione, che è qualcosa che non ha iniziato a muoversi. Se l’uomo può imitare questo soffio Yang, calmo e senza intenzione di essere promosso o mobile, allora può essere uno con il Cielo e la Terra e non perde il suo cuore. Ciò si chiama via di accesso alle mutazioni. Se al contrario, non si accontenta di essere incompreso ma ha l’intenzione di voler essere utilizzato, allora commetterà per forza degli errori gravi e nefasti. Ciò è detto la via della perdita delle mutazioni.
人之所以不能安於下,而多有進用之意者,動於意而失其本心也。人之本 心至神至明,與天地爲一,方陽氣在下。陽氣寂然安於下,未嘗動也。人 能如陽氣之在下,寂然無進動之意,則與天地爲一,不失其心矣,是之謂 得易之道;不能安於潛而有欲用之意者,必獲咎厲,必凶,是謂失易之 道. 49

Qui, lo yi è interpretato come “avere l’intenzione di ottenere qualche cosa”, molto vicino a bi 必, che significa nella spiegazione di Zhang Zai “attendersi qualcosa”. Si tratta qui in effetti di un caso preciso di “freno all’emergere dell’intenzione” (bu qi yi), che fa pensare ad una frase delle Interviste: “essere incompreso dalle persone ma senza adombrarsene, non è degno dell’uomo di bene?” 50.
È il movimento (dong 動) intenzionale che fa perdere l’unione del cuore con il Cielo e la Terra. La via delle mutazioni è quella del cuore. È per questo che Yang si mostrava molto critico riguardo ai letterati che amavano il movimento (dong 動), la promozione (jin 進), l’invenzione (zuo 作) e le proprietà (you 有), quattro oggetti che li conducevano verso i “quattro rifiuti”: yi 意, bi 必, gu 固 et wo 我. Ora, Yang Jian distingue l’intenzione delle emozioni che un santo può avere:

Quando Confucio sorrideva leggermente, c’era della gioia e non il movimento dell’intenzione. Quando disse: “che essere primitivo, questo You [Zilu] ! ” c’era della collera e non il movimento dell’intenzione. Quando pianse con sofferenza la morte di Yan Yuan [Hui], c’era della tristezza e non il movimento dell’intenzione.
孔子莞爾笑,喜也,非動乎意也;曰:“野哉,由也。"怒也,非動乎意 也;哭顏淵至於慟,哀也,非動乎意也. 51

Qui, la gioia, la collera o la tristezza di Confucio sottolineano delle emozioni naturali senza alcuna proiezione intenzionale, ed è per questo che Yang Jian non le include nella categoria dello yi. Il non-movimento dell’intenzione non è quindi un non-agire o un non-pensare assoluto, ma una azione o un pensiero spontaneo che segue il cuore, come è espresso nel passaggio successivo:

Non essere mosso dall’intenzione non è uno stato dove si trovano un legno, una pietra. Il sentimento (cuore) retto, costante e giusto non è l’intenzione.
不動乎意,非木石然也。中正平常正直之心非意也. 52

Il “freno all’emergere dell’intenzione”(bu qi yi 不起意) di Yang Jian può evocare un pensatore dei Tang, discepolo di Han Yu (768-824) : Li Ao 李翺 (circa 772-836) 53. Per quest’ultimo, il buddismo Chan è una sorgente importante di cui si serve di sovente per le sue interpretazioni delle tesi confuciane che sono esposte nei tre saggi del Fu xing shu 復性 書 (Libro sul ritorno alla natura umana); questi ultimi si appoggiano essenzialmente sullo Zhongyong. Esso stabilisce una distinzione tra la natura dell’uomo (xing) e le sue emozioni (qing 情) (gioia, collera, tristezza, paura, amore, avversione e desiderio). Secondo lui, la natura dell’uomo è fondamentalmente buona, sono le sue emozioni che gli impediscono di svilupparsi pienamente. Di conseguenza, per tornare alla natura fondamentale, conviene “neutralizzare” le emozioni. Li Ao consiglia la calma per ottenere l’oblio delle emozioni e della natura.
Oblio è per lui sinonimo di “non pensare” (fu si 弗思) : “per fare si che le emozioni non nascano, non si deve inquietarsi, né pensare (fu lü fu si 弗慮弗思).

Poiché le emozioni non sono generate, c’è il pensiero giusto (zhengsi 正思), che non è altro che assenza di desiderio (wulü 無慮) e non pensiero (wusi 無思)”54. Avere il pensiero giusto è per lui “osservare il digiuno del cuore” (zhai jie qi xin 齋戒其心), che è uno stato di quiete relativo al movimento. Occorre però andare oltre questa scissione tra movimento e staticità: «Riconoscere che originariamente non c’era pensiero e distaccarsi completamente da movimento e staticità, ecco cos’è la suprema autenticità (zhicheng 至誠)» 55. Qualche secolo prima degli Studiosi Song, Li Ao considerava l’autenticità come accesso alla santità. Li Ao si sforza di risolvere attraverso la nozione di qing la tensione esistente tra l’innata bontà della natura (xing) e le sue varie manifestazioni. Il rapporto tra qing e xin è invece meno spiegato da quest’ultimo, anche se usa anche l’espressione “ritorno al cuore” (fuxin 復心).
Lu Jiuyuan, nel frattempo, ritorna a un’antica opposizione tra xin e yu 慾. Come Mencius, Lu sostiene la riduzione del desiderio (guayu 寡慾), o la sua “eliminazione” (boluo 剝落) nella sua terminologia, per mantenere il cuore pulito e chiaro. Il metodo di Yang Jian sembra più vicino a quello di Li Ao che a quello del suo maestro. Solamente, invece del qing che valorizza fintanto che emanato spontaneamente dal cuore, si confronta con lo yi, il cui movimento è la ragione del vagare del nostro cuore, e quindi della nostra natura: Yang rifiuta radicalmente l’approccio dualista a queste due nozioni. Inoltre, i termini filosofici che Yang Jian usa hanno significati più ristretti e più omogenei. Questo però non lo salvò dai rimproveri dei suoi contemporanei e dei confuciani Ming.

Vuoto pieno 虚实

Da François Cheng, PERSPECTIVES COMPARATISTES : REPRÉSENTATIONS COSMOLOGIQUES ET PRATIQUES SIGNIFIANTES DANS LA TRADITION CHINOISE

Tradotto da Storti Enrico

Nota del traduttore: vuoto e pieno sono due categorie antinomiche utilizzate anche nelle arti marziali cinesi. Come tanti altri concetti filosofico-pratici investono anche altri campi delle cultura cinese, come si vede da questo scritto.

1.PROSPETTIVE COMPARATIVE: RAPPRESENTAZIONI COSMOLOGICHE E PRATICHE DI COSTITUZIONE DI SIGNIFICATO NELLA TRADIZIONE CINESE – introduzione

Interazione reciproca di pieno e vuoto nella pittura cinese 虚实相生的中国画

Il Vuoto è percepito, nella pittura cinese, come un segno “a pieno diritto” (3). Segno fondatore, inoltre, poiché è in relazione ad esso che gli altri elementi si percepiscono come segni.
Interviene a tutti i livelli costitutivi di un dipinto (ne possiamo identificare cinque, ovvero: Pennello-Inchiostro, Ombra-Luce, Montagna-Acqua, Uomo-Cielo, Quinta Dimensione), fungendo così da legame organico che li collega e garantendo così la loro unità. In un rotolo dipinto, con la rottura che introduce nella linearità e il decentramento che impone alle scene rappresentate, contribuisce al movimento dinamico di un complesso spazio-temporale in perpetuo divenire. In quanto presenza sia visibile che invisibile dell’Origine, e intimamente legato al funzionamento dei Soffi vitali di cui ogni quadro deve essere animato, il Vuoto stabilisce la ragion d’essere della pratica pittorica dotandola di criteri essenziali di valore.
Se il ruolo del Vuoto sembra scontato nel dipinto, perché mostrato visivamente, può “incuriosire” a prima vista, toccando il linguaggio poetico. Il linguaggio, di struttura rigorosamente lineare, non sembra dover includere punti vuoti. Tuttavia, la nozione di Vuoto è al centro del pensiero linguistico cinese. Sappiamo che la grammatica cinese, così come era concepita nell’antica Cina, era essenzialmente lessicografica. È attraverso una lessicografia molto avanzata che sono state osservate le regole sintattiche e modali. Tuttavia, questa lessicografia si basa sulla distinzione che viene fatta tra due categorie principali di parole: xu-zi “parole vuote” e shi-zi “parole piene”. In seguito furono proposte altre categorie: così, a partire dall’epoca Song, quelle che oppongono si-zi “parole morte” e huo-zi “parole vive”; nel periodo Qing, quelli che distinguono Jing-zi “parole statiche” e dong-zi <c parole dinamiche”. Rispetto alle due categorie principali, queste ultime costituiscono in realtà delle sottocategorie.


Dare una definizione precisa a ciascuna di queste categorie non è facile. Ci sono variazioni nel modo in cui i lessicografi nel corso dei secoli hanno delineato classi di parole.
È comunque possibile proporre le seguenti definizioni che formano una sorta di “consenso” generalmente accettato:
Parole complete: nomi; forse alcuni verbi.
Parole vuote: pronomi personali, preposizioni, congiunzioni, la maggior parte dei verbi, avverbi, particelle modali.
Le parole vive e le parole morte appartengono tutte alle parole vuote: le prime consistono in verbi d’azione, mentre le seconde comprendono verbi di qualità, preposizioni, congiunzioni e particelle. Quanto alle parole dinamiche e alle parole statiche, si situano un po’ tra parole piene e parole vuote; la loro opposizione non è altro che quella che separa sostantivi e verbi. In generale si può dire che i lessicografi cinesi distinguono due tipi di parole: una designa gli esseri e le cose stesse (nomi), l’altra esprime le azioni di queste (verbi, avverbi) o ne indica le relazioni (pronomi, preposizioni, congiunzioni , particelle). Questi ultimi, in numero limitato, ma il cui uso è di grande sottigliezza, attirano soprattutto la loro attenzione.
Fin dall’epoca Han (intorno all’era cristiana), i commentatori dei grandi testi classici erano soliti notare l’uso di certe parole vuote che designavano con nomi come yu-ci e yu-zhu. Tuttavia, fu sotto i Tang (VII-IX secolo) che iniziò la consapevolezza dell’importanza delle parole vuote. Questi, a partire dai Song, sono stati studiati sistematicamente dai lessicografi, e anche dai critici letterari che hanno registrato le loro riflessioni in numerose shi-hua “parole sulla poesia” (4).
Ciò che interessa principalmente gli autori di shi-hua è il problema dello stile. Perché nella tradizione retorica cinese, il buon stile di un testo deve tener conto, a livello delle frasi, dell’equilibrio tra parole piene e parole vuote. Solo questo equilibrio assicura il perfetto funzionamento del “ritmo del respiro” qi-yun che deve animare le frasi. Va notato, tuttavia, che non si tratta di cercare un’alternanza del tutto meccanica tra i due tipi di parole.

Aprire unire vuoto pieno 开合虚实 da Citazioni classificate della teoria del Taijiquan di Chen Xin 陈鑫太极拳论分类语录

A seconda della natura del loro contenuto, alcune frasi possono essere caricate con parole più piene (frasi più compatte, più colorate o più affermative) e altre con parole più vuote (frasi più tortuose, più allusive o più incerte).
In poesia questa ricerca ha raggiunto un’estrema raffinatezza, in particolare per quanto riguarda la “parola-occhio” di un verso dove l’uso di una parola piena o di una parola vuota non è mai irrilevante.
Ma, al di là della preoccupazione stilistica, altri aspetti attirano l’attenzione dei poeti. Poiché la poesia cinese è concisa nella forma (un verso pentasillabico contiene solo cinque caratteri), accade spesso che in un verso i poeti omettano parole vuote, lasciando “veri vuoti” tra le parole; è poi la cadenza che assicura la connessione tra le parole e permette al lettore di ristabilire, quando recita il verso, le parole vuote che non vi compaiono. Succede anche che i poeti sostituiscano una parola piena con una parola vuota, per variare il gioco del Pieno e del Vuoto, per introdurre soprattutto una dimensione in profondità che scalfisca seppur minimamente la certezza del linguaggio. Queste omissioni e sostituzioni hanno l’effetto di sconvolgere il rapporto tra parole, tra soggetto e oggetto, tra detto e non detto (5).
A conferma delle nostre affermazioni, sarebbe interessante lasciar parlare i lessicografi cinesi. Senza poter presentare gli innumerevoli esempi concreti che hanno proposto, citeremo una riflessione generale di Yuan Ren-lin, uno dei teorici che meglio ha scrutato la vera natura delle parole vuote.
Nel suo Xu-zi-shuo, dice:

“Per la sua economia di forma, la poesia è chiamata a fare a meno delle parole vuote. Ma, con il contesto, questi non devono essere effettivamente lì. Senza essere presenti, ci sono comunque, si possono pronunciare o non pronunciare, è proprio questo che fa il fascino misterioso di una poesia. Lo stesso vale per un testo in prosa molto conciso. In precedenza, il Maestro Cheng [Cheng Yi, dei Song], quando recitava una poesia, aggiungeva semplicemente una o due parole vuote di sua spontanea volontà, e l’intera poesia prendeva vita, improvvisamente articolata e carica di trasformazioni interne . . Il Maestro Zhu [Zhu Xi, dei Song] ha proceduto allo stesso modo. Così, il poeta [antico] ha lasciato delle lacune nelle sue poesie; sta al lettore riempirle, punteggiando con la salmodia. L’arte delle parole vuote nella poesia non sta tanto nel loro uso effettivo quanto nella loro assenza, che conserva tutta la loro potenza virtuale.”

Yuan Ren-lin arriva così a concedere uno statuto quasi metafisico alle parole vuote, in quanto identifica il gioco dialettico di parole piene e parole vuote con il movimento dinamico di Pieni e Vuoti di cui è animato l’universo (6) .

3. Yin Yang

4. Uomo-Terra-Cielo

Note

3. Al ruolo del Vuoto nella pittura cinese abbiamo dedicato un libro: Vuoto e Pieno, il linguaggio pittorico cinese. In mancanza di poter presentare tutti i dati affrontati in questo libro, indichiamo qui solo alcuni punti essenziali riguardanti il ruolo di questo concetto.
4. Lo studio storico di questo importante corpus ha tentato diversi linguisti moderni.
Tre opere, che offrono approfondimenti, meritano di essere citate in particolare:
lo Zhongguo yufaxue xiao-shi di Wang Lida (Pechino, shangwu yinshuguan, 1963), lo Zhongguo yufaxue cihui lei bian di Zheng Dian e Mai Meiqiao (Pechino, zhonghua shuju, 1965) e lo Hanyu shigao di Wang Li (Pechino, Zhonghua shuju , nuova ed. 1980). Per quanto ci riguarda, la nostra attenzione va, naturalmente, alle implicazioni delle parole vuote nella poesia, implicazioni ampiamente analizzate nello shi-hua.
5. Abbiamo studiato questo problema in dettaglio nella scrittura poetica cinese (parte prima, capitolo I).
6. A proposito proprio della parola “metafisica” che si dice in cinese xing er shang “fisico – er sopra”, Yuan Ren-lin fa notare che tutto il potere suggestivo di questa parola risiede nell’er (parola vuota) che si trova nel mezzo della parola. Secondo lui, se avessimo formato la parola “metafisica” con xing shang o xing zhi shang “fisica – al di sopra”, ci saremmo sempre collocati nell’ordine della fisica; mentre grazie all’elemento mediano er che introduce una sorta di spazio in spirale, la parola intera, quando viene letta, invita a fare un salto qualitativo e ad accedere ad un altro ordine.

Metafore e fiore di Prunus mume

Da:Véronique Alexandre Journeau. Triple nature de la métaphore esthétique en Chine. Langarts. Mé-
taphores et cultures : en mots et en images, pp.209-228, 2012. ￿halshs-01987172

Tradotto da Storti Enrico

Song Boren, 梅花喜神譜 meihua xishen pu (Catalogo degli aspetti del fiore di Prunus mume), 瑟 se, 宛委別藏, Vol. 71, n°69

La raccolta 宛委別藏 Wanwei biecang (Collezione privata Wan Wei)[36] è di grande estensione [37]. Inizia con il libro canonico degli Zhou (周易 Zhouyi) e continua con le grandi opere classiche di ogni dinastia, tutti testi accompagnati dai loro commentari. Il 71° volume comprende, oltre ai due volumi del 梅花喜神譜 meihua xishen pu, catalogo degli aspetti del fiore di Prunus mume (ca. 1271) di 宋伯仁 Song Boren qui studiato, note aggiuntive al Canone dei documenti (書經 Shujing) in cinque volumi (74 pagine) e il 琴操 Qincao (Gioco del Qin) di 蔡邕 Cai Yong (132-192), alto funzionario, studioso, poeta, calligrafo e musicista della tarda dinastia Han, in due volumi ( 54 pagine) . Ciò dimostra la stima in cui è tenuta l’opera di cui qui si parla. Eppure l’autore di questa serie di variazioni sui fiori di pruno è poco conosciuto: i vocabolari biografici lo citano solo per quest’opera ma senza date o parentele. Si sa solo che visse nella dinastia 宋 Song, periodo fertile per la pittura del Prunus mume. È un approccio impressionista nel senso che 宋伯仁 Song Boren voleva osservare ogni momento della vita di un fiore di pruno. Per questo coltivava molti Prunus mume per osservare e dipingere dalla mattina alla sera le diverse configurazioni dei fiori. Di un corpus iniziale di 200 disegni, ne ha conservati la metà, frammentandoli in 100 aspetti della vita di un fiore dallo sbocciare alla caduta dell’ultimo petalo, ciascuno dando origine a una poesia che funziona su una doppia evocazione per analogia: un’interpretazione diretta dell’immagine (posizione/movimento) del fiore di Prunus mume e un pensiero filosofico. Spesso ci sono allusioni ad altre arti. Dal piccolo bocciolo alla caduta dell’ultimo petalo, Song Boren ripercorre la vita dei fiori di pruno e filosofeggia su questo tema del ciclo “emergenza-fioritura-appassimento-scomparsa” di tutti gli esseri viventi e di tutti i periodi di una civiltà, attraverso le poesie che appone alle varie configurazioni del fiore sul ramo. Li raggruppa in diversi episodi come segue:

• 蓓蕾四枝 Boccioli di fiori (4)
• 小蕊一十六枝 Stami (16)
• 大蕊八枝 Fioritura (8)
• 欲開八枝 Apertura (8)
• 大開一十四枝 Avvizzimento (14)
• 爛漫二十八枝 Spogliarsi (28)
• 欲謝一十六枝 Addio (16)
• 就實六枝 Avvicinarsi alla frutta (6)

Questi grandi titoli di rubriche annunciano un tema ciclico con l’intreccio di una vita in un’altra vita, dando una via d’uscita dalla morte di un elemento attraverso la vita di un altro con cui è in relazione nel processo di trasformazione.