Sguardo etimologico ed ermeneutico: che cos’è il quan?

Tradotto da Storti Enrico dal libro Les arts martiaux: regards critiques et perspectives de recherche” p 92, di Olivier Bernard

Manoscritto di epoca Qing intitolato Quanshu

All’inizio del ventesimo secolo, le arti marziali cinesi erano conosciute in Cina con i nomi generici Wushu, Kungfu, quanfa o quanshu. I termini Wushu ( tecniche marziali) e Kungfu ( termine vernacolare Cantonese che significa “lavoro”[3]) sono generalmente utilizzati oggigiorno in riferimento alle arti marziali cinesi in maniera generica e più particolarmente alle arti marziali dette “esterne”. Nonostante ciò, dalla dinastia Ming (1368-1644) fino a metà del diciannovesimo secolo, si faceva riferimento più comunemente alle denominazioni quanfa (拳法, kenpo/kempo in giapponese, kwonbop in coreano) e quanshu (拳术) per designare esclusivamente le tecniche a mano nuda. Progressivamente, sotto l’influenza di un certo numero di fattori che noi elencheremo qui, questi due termini, durante la dinastia Qing, vennero a designare il “pugilato” (nel senso di “pratica che utilizza delle tecniche per colpire con mani e piedi), poi le arti marziali cinesi.

In origine, quanfa (拳法) e quanshu (拳术) si collegavano al termine quan (拳: pugno/ mano chiusa/ tenere sollevando)- che ha preso maggiormente oggi, nel contesto delle arti marziali cinesi, il senso di “pugilato” – e al quanbo (拳博), termine che Gilles (1906) tradusse in “colpire con i pugni e aggrapparsi” . Questa traduzione fece in parte da base alla percezione occidentale delle arti marziali sino-asiatiche come metodi di “pugilato”, cioè come metodi di combattimento basati su tecniche di colpi piedi-mani. Tuttavia, similmente al nome Shoubo[4] (手博), comunemente tradotto con “colpire con le mani” (Weng, 2001), “combattimento a mano nuda”, o “lotta a mani nude”, il termine quanbo (拳博) da ugualmente luogo a una polisemia che potrebbe portare ad una confusione sulla natura delle pratiche altrimenti racchiuse in questa denominazione.

Lotta in epoca Ming

Le apparizioni del termine nella letteratura anteriore al ventesimo secolo sono relativamente rare, l’interpretazione del termine quanbo (拳博) può, legittimamente, essere fatto oggetto di discussione e dovremo, esprimere alcune riserve a proposito della legittimità di qualsiasi interpretazione definitiva del termine. Se il carattere 博 (bo) è oggi frequentemente tradotto in “colpire” o “combattere”, nelle sue principali accezioni più utilizzate a partire dalla Dinastia Míng ed ancora in vigore ai giorni nostri, include ugualmente il senso di “lottare” [5] (Li, 2015), oltre che quello di “afferrare ” (MDBG, 2015), cosa che si avvicina alla pratica di una forma di lotta. Il carattere 博 (bo) prende quindi nel complesso il senso di “lottare”, “combattere”, “colpire”, “afferrare” e “prendere”.
La denominazione Quan (拳) presenta anch’essa un caso relativamente simile, poiché nonostante delle accezioni moderne e contemporanee più utilizzate del termine, cioè quelle di “pugno”, di “mano chiusa” e di “pugilato” nel diciannovesimo secolo, essa include ugualmente e tradizionalmente il senso di “tenere sollevando” (Theobald, 2011). Avremmo quindi il diritto di domandarci se questa diffusione dell’utilizzo di 拳 (quan) nel significato di “pugilato” non sia stata in effetti conseguente alla traduzione di Giles (1906) o ad altre interpretazioni in voga in Cina nel diciannovesimo secolo.

Nota del traduttore/in realtà i primi ad usarlo in questa accezione furono i missionari cristiani e i giornalisti che descrissero la famosa rivolta anti-occidentale del 1900, rendendo Quan in pugili a partire da quanfei 拳匪/

Esecuzione di un pugile bandito a Baoding

Questa esistenza di un utilizzo del termine Quan (拳) nel senso di “tenere sollevando” potrebbe tuttavia portarci a rimettere in questione l’interpretazione del termine quan nella sua accezione attuale più usitata, e conseguentemente l’interpretazione delle pratiche che gli afferiscono. Certe osservazioni di ordine tecnico che noi affronteremo ulteriormente, così come il fatto che non esiste alcuna prova formale che, da una parte, il termine quan abbia mai significato “boxe” o “pugilato”, e ciò fino al diciannovesimo secolo; d’altra parte le pratiche raggruppate sotto la denominazione quan e trasmesse attraverso le concatenazioni a mano nuda siano mai state delle forme di boxe o di pugilato, sembrano appoggiare questa idea. Queste osservazioni potrebbero, per questa ragione, condurci a formulare l’ipotesi secondo cui la denominazione quan sarebbe servita non a designare delle forme di pugilato, ma delle forme di “lotta per afferramenti” ; il termine quan sarebbe esso stesso da prendere molto probabilmente in questa accezione fino all’inizio del diciannovesimo secolo. Come noi vedremo ulteriormente, questa ipotesi sembrerebbe essere confermata dal contenuto tecnico menzionato in certe opere della Dinastia Míng e della prima metà della Dinastia Qīng che fanno riferimento alla pratica (Sahar, 2008)



Per deduzione a partire dall’ipotesi precedente, è possibile estrapolare che a partire dalla fine della Dinastia Míng (1368-1644) e fino al diciannovesimo secolo, quando si parlava di quanfa (拳法) si intendeva “metodo di afferramento/ presa” di cui compaiono le prime menzioni verso la fine della Dinastia Míng, e di quanshu (拳术), che significava “tecnica di afferramento/ presa”. I quanshu (拳术), “tecniche di afferramento/ presa”, verranno codificate sotto forma di concatenazioni permettendo di facilitarne la diffusione e la trasmissione, le quali presero a volte il nome di quantao e più recentemente di Taolu, riunite in seno al quanfa (拳法), “metodo di afferramento”. Dobbiamo notare che il termine quanfa (拳法), che serviva originalmente a designare il sistema di tecniche, è venuto progressivamente ad essere utilizzato per designare le concatenazioni delle tecniche stesse – come nel caso della lingua coreana con il termine kwonbop- e ciò, dal fatto che all’origine una sola e stessa concatenazione serviva probabilmente a raggruppare le tecniche proprie di ogni stile ed insegnante/vedi l’idea di Jiazi nel Méihuāquan/.

Nonostante il carattere evidente di polisemia dei numeri dei termini precedenti, sembra tuttavia interessante constatare che pochissimi autori si siano interessati su una possibile necessità di rimettere in questione le traduzioni in vigore da più di un secolo e le percezioni e le interpretazioni attuali delle pratiche raggruppate sotto il suffisso -quan, prendendo di fatto per argento colato che racconta di una credenza popolare dogmatica che considera ostinatamente le pratiche come metodi di pugilato o di boxe, e, molto più raramente, come dei metodi di lotta. Questa differenza di interpretazione, per delle grafie univoche, e più ancora per la traduzione fornita da Giles (1906) del termine quanbo (拳博) come “colpire con i pugni e afferrare” (fisting and gripping) puramente, in effetti, spiega in parte i differenti orientamenti moderni nella percezione e nell’interpretazione del contenuto tecnico delle concatenazioni a mano nuda contenute nelle arti marziali sino-asiatiche.
Sono questi stessi orientamenti che hanno influenzato, da più di un secolo, la visione moderna occidentale, allo stesso modo asiatica, delle arti marziali.

Nota del traduttore /Mi sembra un discorso riduttivo, basti pensare al karate che è interamente una pratica a mano nuda, mentre i sistemi cinesi solitamente si avvalgono di una preparazione che pur iniziando a mano nuda, sfocia ed è sublimata poi nell’uso delle armi, proprio come descritto da Qi Jiguang. Quindi quan, riferito ad una scuola è differente da quan riferito ad un esercizio, cosa che non emerge da questo scritto. Quindi quan può anche essere un sistema di combattimento completo, che prepara tutte le tecniche che servono alla battaglia, piuttosto che a una lotta tra individualità./

La confusione attuale che concerne il significato esatto di quan potrebbe, oltre il possibile effetto che mette insieme una semplice percezione erronea e un errore di traduzione di Giles (1906) che sarebbe legata alla perdita del senso originario del termine, attinente a numerosi altri fattori, i quali sarebbero sia sociolinguistici sia sociostorici. Il primo fattore da sottolineare è la perdita del contesto sociolinguistico relativo all’ambiente culturale inerente a queste forme di lotta. Questa perdita potrebbe avere così, sotto l’effetto di differenti avvenimenti sociostorici tra cui il cambiamento culturale legato alla dominazione mancese, condotto i termini a perdere le connotazioni che li associavano al contenuto tecnico delle pratiche. L’utilizzo, a partire dal fatto della loro facilità di apprendimento

Nota del traduttore/anche qui secondo me parla dei Kata giapponesi/

di sole concatenazioni da parte degli istruttori militari o civili provenienti da differenti curricula – citiamo qui le milizie del Baojia o i movimenti eterodossi politico-religiosi quali la società dei lunghi contelli (Dadaohui) o la società del fiore di pruno (Meihuaquan)[6] – con un obiettivo promozionale o didattico in vista della formazione di reclute militari o civili, potrebbe ugualmente aver condotto parzialmente, a partire dai secoli diciassettesimo e diciottesimo, alla volgarizzazione di questi ultimi fuori dal loro contesto socioculturale e tecnico originale, causando, così, una scomparsa progressiva del loro significato primevo.

Particolare di un rotolo opera di Qiu Ying (dinastia Ming) conservato nel museo nazionale di Taiwan

Nota del traduttore/ in questo punto si denota la contraddizione di chi scrive, infatti quando traduce sia hui 会 di Dadaohui che quan 拳 di Meihuaquan, come società secondo me commette un grande errore. È proprio l’utilizzo di quan per indicare sia “scuole di arti marziali” che concatenazioni di tecniche che rende impossibile parlare semplicisticamente di Lotta. Anche “Lotta” come Pugilato ha nelle lingue occidentali un accezione molto precisa che non permette di dare il senso completo di quan come scuola di arti marziali che insegna tecniche a corpo libero e tecniche con armi./

Il secondo fattore d’importanza è il fatto che le competizioni di quan o di lotta sino-mancese nate durante la dinastia Qing -come quelle di Tianjin e di Beijing[7]- , con cui metodi di quan potrebbero ugualmente essere stati integrati[8] e associati – come nel caso dello Xingyiquan e del Tongbeiquan – , hanno autorizzato le tecniche di percossa di mani e piedi. Questo fattore ha molto probabilmente contribuito a una percezione progressiva di quan/quanbo come sistemi di boxe o pugilato, dando ugualmente i natali a una certa immagine delle arti marziali cinesi, poi sino-giapponesi e sino-asiatiche, e più particolarmente alle tecniche a mano nuda. Ulteriormente rinforzata dall’immagine positiva e l’influenza degli sport, più precisamente il pugilato occidentale, questo fenomeno potrebbe aver condotto allo stesso modo, come nel caso del wingchun o delle forme cinesi di Okinawa che diedero vita al karate, a percepire o a trasformare intenzionalmente i quanshu in tecniche di percossa.

Fu in egual modo sotto l’influenza di questi differenti fattori, oltre al fatto che l’associazione di tecniche con le armi agli stili di combattimento a mano nuda da parte di certi praticanti e istruttori con l’obiettivo della preparazione militare, che il quanshu, verso la fine della Dinastia Qīng, sarebbe finalmente diventato un termine generico per designare il pugilato e le arti marziali cinesi. All’inizio del periodo repubblicano, divenuto troppo ampio di significati e portatore di connotazioni della Dinastia Qīng, il termine quanshu sarà rimpiazzato dal termine ufficiale Guoshu (国术, tecniche nazionali), i termini Wushu e Kungfu (nel sud della Cina) sono tutt’ora utilizzati in maniera vernacolare. Dopo l’avvento della repubblica popolare in Cina continentale, Guoshu, erede dei valori della repubblica nazionalista, sarà a sua volta rimpiazzato dall’antico termine Wushu.

Note

[3] A proposito del termine Kungfu (lavoro) avremmo il diritto di domandarci se l’occorrenza del termine nel contesto delle arti marziali non fosse legato a una volontà di derisione e ciò, dalla sua vicinanza fonetica con i termini quanfa (拳法) e quanshu (拳术), e più specificatamente nelle regioni del sud della Cina, in cui usano questi tipi di giochi di parole.

[4]Il termine conosciuto fin dalla dinastia Song (960-1279) si riferisce ad una pratica antica frequentemente considerata come una forma di pugilato o di lotta.

[5] L’utilizzo del termine in questa accezione si ritrova in un gran numero di termini compositi legati alla lotta, come la denominazione xiangbo (相搏), che significa “lottare/combattere con l’altro” ed utilizzato a partire dalla Dinastia Qin per riferirsi alla lotta (Tong e Cartmell, 2005), e boke (博客), in cui bo (博) significa “lottare”, “combattere” o “afferrare” e (客) “rovesciare”, “dominare” o “sottomettere” (MDBG, 2015), comunemente impiegato per riferirsi alla lotta mongola, anche detta buku.

[6] Il Meihuaquan, più conosciuto alla fine del diciannovesimo secolo con il nome di Yihequan (Yihetuan o Ihochuan), fu un movimento eterodosso opposto alla dinastia Qing. /Un discorso parziale e riduttivo che non rende la complessità e tutte le posizioni politiche del Meihuaquan che nella sua maggioranza si dimostrò lealista ai Qing, anche il successivo riferimento allo Shandong, dimostra una scarsa conoscenza da parte dell’autore a proposito di questo stile/ Istituito nella regione dello Shandong, relativamente difficile da controllare da parte del potere imperiale, era celebre per l’utilizzo di quan, riconosciuto per i suoi riti e il suo processo di promozione, di reclutamento e di allenamento dei suoi membri (Xiang, 2003)

[7] Le denominazioni Tianjin e Beijing fanno riferimento a degli stili di lotta cinesi (shuai Jiao) che portano il nome delle città in cui sono praticati. Questi ultimi costituiscono due dei quattro principali stili di lotta cinese: gli altri due sono il Baoding (anche detto kuaijiao o “lotta rapida”, conosciuto per aver integrato le tecniche di Shaolinquan) e lo stile Mongolo.

[8] Durante la dinastia Qing, il potere imperiale, che portò maggior interesse alla pratica della lotta, come pratica ricreativa, sportiva o militare, si è notamente impegnato a modenizzare la lotta Mancese (buku o boukou) associandovi differenti forme di lotta praticate in Cina; ci furono integrate anche delle pratiche etniche o regionali quali le lotte hakka o tibetane, che hanno, molto probabilmente, influenzato l’apparizione o la trasmissione del quan.

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